Pierre KaufmannFREUD: LA TEORIA FREUDIANA DELLA CULTURAStoria della filosofia, a cura di F. Chatelet, vol. VIII, pp. 7-45 |
Poiché il nostro obiettivo è qui quello di determinare in che modo si è affermata la specificità di una teoria freudiana della cultura, metteremo provvisoriamente da parte ogni preoccupazione di individuarne le fonti e anche qualsiasi questione preliminare concernente i termini di Kultur e di Zivilisation e i loro equivalenti nella nostra lingua, in modo da seguirne la costruzione sul terreno proprio del pensiero psicanalitico. Soltanto allora saremo in grado di porci domande sulla legittimità del posto accordato in una storia del pensiero filosofico a un tipo di ricerca che ne configura sotto vari aspetti la sconfessione. Ma in che modo preservare, in questa prospettiva, l'autonomia del campo da noi considerato? I temi dell'acculturazione e della cultura non sono estranei al movimento della teorizzazione freudiana ma ne sposano e ne rischiarano le vicissitudini. Isolarli dalla pratica su cui si fonda la psicoanalisi, dalla clinica in cui essa si ordina, dalla teoria che la sostiene, equivarrebbe a celare i soli tratti in grado di garantirne l'originalità. Cercheremo inoltre di mostrare in che modo la conversione dei rapporti arcaici di dominio in istituzioni spirituali, che costituisce il nucleo della concezione freudiana, iscriva sul piano dell'effettività storica, con l'atto fondatore dell'uccisione collettiva del capo dell'orda, il rinnovamento apportato congiuntamente alla psicoanalisi dall'elucidazione del transfert e dall'analisi della psicosi. Sarà così aperta la via a un approfondimento della teoria delle pulsioni destinato a suggellare nel registro dello sviluppo umano l'elaborazione genetica della pulsione individuale. Il problema dell'analisi, nella duplice accezione del suo termine e della sua finalità, troverà in tal modo la propria soluzione. Le formazioni nevrotiche accessibili alla regressione di transfert rinviano in una considerazione retroattiva a un polo abissale. Ma se questa regressione è interminabile, se la realtà psichica è impotente a trovare il suo ancoraggio in una realtà effettiva, non è meno vero che l'attitudine alla nevrosi dà all'uomo la misura della precarietà del suo inserimento sociale. Compito della cultura è al contrario assicurare il superamento di quest'intervallo: in essa, e solo in essa, ha luogo il confronto dell'uomo con la realtà — non fatto bensì instaurazione — di modo che l'immagine dell'Acheronte, iscritta in epigrafe sulla soglia del regno solitario dei sogni, possa allora trovare risposta nella conclusione goethiana di Totem e tabù, «in principio era l'azione». Movimento di pensiero paradossale, di cui dovremo ricostruire il punto di partenza nei primi approcci al transfert prima di individuarne, se è possibile, la svolta decisiva, in cui l'accesso agli interessi culturali ne consacra la risoluzione. I. IL PROBLEMA EPISTEMOLOGICO DELLA CENSURA «Ogni nostra concezione delle nevrosi» scriveva Freud nel 1916 «risente ancora dell'influenza dello studio dell'isteria, che l'aveva preceduta nel tempo.» Torniamo dunque indietro nel tempo di una ventina d'anni, all'indomani degli Studien liber Hysterie (Studi sull'isteria). In questo contesto (Manoscritto K, 1° gennaio 1896), «andiamo al cuore del problema psicologico» «ricercando l'origine del dispiacere generato da un'eccitazione sessuale precoce, senza la quale non sarebbe spiegabile alcuna rimozione». La dimensione nella quale è allora considerata la civiltà è dunque quella della «moralità», della quale si tratta di valutare il ruolo nella genesi dell'inibizione, e l'elemento essenziale su cui Freud insiste a questa data è che la moralità è sprovvista di per sé di ogni capacità dinamica. Si sarebbe tentati in effetti di considerare innanzitutto che «siano il pudore e la moralità a costituire le forze della rimozione poiché la prossimità che la natura ha dato agli organi sessuali e a quelli dell'escrezione deve «inevitabilmente, nel momento delle esperienze sessuali, suscitare un sentimento di disgusto». Non si osserva forse che «là dove il pudore manca (come negli individui di sesso maschile), là dove la moralità è assente (come nelle classi inferiori), là dove il disgusto si trova a essere attenuato dalle condizioni di esistenza (come in campagna), la rimozione non si produce, e quindi nessuna eccitazione sessuale infantile comporta rimozione e quindi, di conseguenza, nevrosi»? Nondimeno, prosegue Freud, «questa spiegazione non resiste a un esame più approfondito» e la critica si appunta su due elementi: da un lato la modalità del rapporto causale («Non posso credere che una produzione di dispiacere durante le esperienze sessuali possa derivare dal fortuito [corsivo nostro] mescolarsi in esse di taluni fattori di dispiacere... Nessun sentimento di disgusto si produce quando la libido raggiunge un livello sufficientemente alto. La moralità allora tace»), dall'altro la natura stessa della causa invocata («Credo che il pudore debba dipendere interamente dall'incidente sessuale»). Caratterizzare un fattore in modo tale che esso abbia il carattere di «incidente» senza presentarsi perciò come «fortuito»: tale sarà dunque il problema posto dalla causalità dell'inibizione. In questo senso dobbiamo intendere l'ipotesi «che nella sessualità debba trovarsi una fonte indipendente di dispiacere». Se questa fonte esiste, in altri termini se un processo intrinsecamente inerente all'esercizio effettivo della sessualità ne assume il ruolo, «essa può stimolare le sensazioni di disgusto e conferire la sua forza alla moralità». Si trova così determinata a titolo di problema la nozione di «contro-volontà», introdotta da Freud quattro anni prima in occasione dell'osservazione principe della cura catartica: il caso di guarigione ipnotica di Anna O. Ora, che questo problema abbia una componente essenziale di ordine epistemologico ci è confermato dalla critica, avviata da Freud nel 1896 e ripresa più volte entro il 1908, delle ipotesi di Beard a proposito dell'etiologia della nevrastenia. Certo il lettore contemporaneo di AMeTiCan Nervousness, its Causes and Consequences [Nervosità americana, le sue cause e conseguenze] (trad. tedesca 1881) e di Sexual Neurasthenia, Nervous Exhaustion, its Hygiene, Causes, Symptoms and Treatment [Nevrastenia sessuale, esaurimento nervoso, sua igiene, cause, sintomi e trattamento] (trad. tedesca 1886) avrà qualche difficoltà a spiegarsi l'interesse suscitato da quest'analisi assai sommaria di un nuovo male del secolo, quello della «modernità» di stile americano. Vale comunque la pena di rilevare come il ricorso a un tipo di spiegazione «sociologica • in psicopatologia dovesse apparire originale a questa data e, soprattutto, in che cosa la concezione freudiana ne approfondisse d'acchito il progetto troppo generale. Per riprendere i termini dell'articolo pubblicato nel 1896 in francese su L'hérédité et l'étiologie de la névrose [Ereditarietà ed etiologia della nevrosi], si distingueranno in effetti tre generi di influenze etiologiche «diverse tra loro per dignità e modo di relazioni (sic) con l'effetto che producono: 1) Condizioni, che sono indispensabili per produrre l'affezione in oggetto ma che sono di natura universale e si ritrovano anche nell'etiologia di molte altre affezioni. 2) Cause concorrenti, le quali condividono il carattere delle condizioni nel senso che hanno parte nella causalità di altre affezioni oltre che in quella dell'affezione in oggetto ma che non sono indispensabili perché quest'ultima si produca. 3) Cause specifiche, altrettanto indispensabili delle condizioni ma di natura ristretta, le quali appaiono solo nell'etiologia dell'affezione di cui sono specifiche». Ora, prosegue Freud, «come cause concorrenti o accessorie di nevrosi si possono enumerare tutti gli agenti banali che s'incontrano altrove... Tengo a sottolineare che nessuno di essi... entra regolarmente o necessariamente nell'etiologia delle nevrosi... Da quando Beard aveva dichiarato che la nevrastenia è il frutto della civiltà moderna, non ha trovato che credenti ma a me è impossibile accettare quest'opinione... L'etiologia specifica delle nevrosi si è sottratta alla conoscenza di Beard.» In altri termini, l'influenza generale della civiltà sarà annoverata fra le «condizioni» della nevrosi, mentre la sessualità sembra dover costituire il registro delle cause «specifiche». La nevrosi d'angoscia dell'adolescente, prosegue Freud, può essere considerata a questo proposito il prototipo, nella misura in cui consente di constatare gli effetti patogeni di «una quantità emanante dalla sessualità stessa». Ma l'analisi non è spinta oltre e «finché non disporremo di una teoria esatta di questo processo, il problema dell'origine del dispiacere che agisce nella rimozione resterà insolubile.« Ci si rende conto, di fatto, di quali difficoltà impediscano a Freud di stabilire una relazione più stretta fra la forma culturale della moralità e la dinamica psicologica della rimozione. La nozione di causalità di cui egli dispone è ancora lungi dall'essere omogenea, divisa com'è fra influenze «sociali» esogene del tipo tradizionale della causalità naturale e fattori «psicologici» contrassegnati da un indizio genetico tipico dello stadio di sviluppo individuale in cui essi operano. In altri termini, l'ordine sociale della «civiltà» non è stratificato e proprio per questa ragione non è ammesso a sopportare altre «influenze» patogene, oltre a quelle delle cause «concorrenti», di «dignità» inferiore a quella delle cause «specifiche», in questo caso genetiche. Dovremo attendere in effetti Totem und Tabu (Totem e tabù) prima che venga pienamente riconosciuta l'affinità fra il mutamento individuale e il mutamento sociale, fra una causalità interna derivante da una rottura di livello nel percorso del destino pulsionale e da una causalità «sociale» scaturente dall'atto di rottura in cui viene abolito il primitivo rapporto di dominio. Il problema si annuncia nondimeno in questo stesso periodo, e precisamente nella misura in cui viene elaborata la nozione di sedimentazione genetica. Il 1° gennaio 1896 Freud tentò, sulla nevrosi ossessiva, l'analisi dello «scrupolo» e del senso di colpa, senza trarne ancora, peraltro, alcun insegnamento sulla relazione del versante «oggettivo» al versante «soggettivo» della moralità. Il tema fu sfiorato invece il 6 dicembre dello stesso anno. E’ questa una conseguenza del fatto che nel frattempo Freud aveva sviluppato la teoria della stratificazione delle zone erogene, che venne messa a fondamento della stratificazione dello psichismo. «Tu sai» scrisse egli a Fliess «che nei miei lavori parto dall'ipotesi che il nostro meccanismo psichico si sia formato in séguito a un processo di stratificazione: i materiali presenti sotto forma di tracce mnemoniche vengono manipolati di tanto in tanto in conformità con le nuove circostanze che si presentano». Ora, questa teorizzazione introduce il principio di una corrispondenza fra due registri di stratificazione: individuale e sociale: «Sullo sfondo si trova l'idea delle zone erogene abbandonate. Nel corso dell'infanzia, in effetti, la reazione sessuale è ottenibile, a quanto pare, su numerosissime parti del corpo, ma più tardi queste ultime non possono più produrre se non l'angoscia del ventottesimo giorno e nient'altro. A questa differenziazione, a questa limitazione sarebbero dovuti i progressi della civiltà e lo sviluppo di una morale sia sociale sia individuale.» morte. Nel lutto si manifestano i sentimenti di rimorso; ci si rimprovera allora della loro morte (è il fenomeno che viene descritto col nome di melanconia), oppure ci si punisce in modo isterico, ammalandosi come loro... Pare che, nei figli, i desideri di morte siano diretti contro il padre, e nelle figlie contro la madre.» La stessa lettera ci fornisce immediatamente la controparte di queste indicazioni sul piano della cultura: «Alla base del sacro» scrive Freud è il sacrificio consentito dagli uomini, nell'interesse di una comunità più vasta, di una parte della loro libertà sessuale perversa. L'orrore ispirato dall'incesto (atto empio) si fonda sul fatto che, in seguito a una vita sessuale comune, anche all'epoca dell'infanzia, i membri di una famiglia sono permanentemente solidali e diventano incapaci di legarsi a estranei. L'incesto è un atto antisociale al quale, per poter esistere, la civiltà ha dovuto poco a poco rinunciare.» La nozione di sedimentazione non si è dunque solo arricchita integrandosi la pulsione; essa si è estesa anche alle relazioni infantili con i genitori, e in questa stessa misura è chiamata a fondare l'articolazione fra ordine psicologico e ordine culturale: il problema consisterà allora nel capire sotto l'effetto di quali forze a le pulsioni ostili nei confronti dei genitori» saranno superate, di modo che l'essere umano sia strappato alla sfera della sessualità perversa. Nello stesso tempo si approfondisce il problema epistemologico soggiacente a tutto questo sviluppo. Con la nozione di sedimentazione e delle «zone erogene abbandonate viene in effetti sancito il rifiuto della concezione di un trauma operante a parte anteriori. Il 7 luglio 1897 Freud caratterizza in effetti il fantasma (o fantasia) come retroattivo, e afferma che ad esso sono associate pulsioni che sono anch'esse oggetti di rimozione. Più precisamente, in seguito all'abbandono delle zone sessuali arcaiche, si sviluppa un'attività fantasmatica che recupera ciò che è stato abbandonato e che si accompagna all'emergere di pulsioni associate, a loro volta rimosse. Ma il 15 ottobre entrano in scena Edipo e Amleto, e la teoria della cultura, contenuta fino allora nei limiti del problema della moralità, si estende al dominio dei miti. Non che Freud non se ne sia ancora interessato, sulla scia delle suggestioni apportategli, a proposito del folklore, dall'analisi della fase anale «Le storie del diavolo, il vocabolario delle imprecazioni popolari, le canzoni e le abitudini delle balie, tutto ciò acquista un significato ai miei occhi», scriveva egli già il 24 gennaio dello stesso anno. E aggiungeva: a sono disposto a credere che occorrerebbe considerare le perversioni, il cui negativo è l'isteria, come le tracce di un culto sessuale primitivo che fu forse addirittura, nell'Oriente semitico, una religione (Moloch, Astarte).. In questo contesto sarà introdotto, qualche mese dopo (2 maggio 1897), il concetto di sublimazione. Ma ciò che ormai guida Freud su questa via è l'ipotesi della coerenza del sistema fantasmatico. = Una tra le nostre speranze più care» scrive il 25 dello stesso mese a è di pervenire a determinare il numero e le specie di fantasmi così come determiniamo quelli delle scene a. Vediamo così delinearsi una terminologia strutturale: a Conosco approssimativamente le regole che determinano la funzione di queste strutture (Struktur) e i motivi della loro coerenza • scrive Freud il 7 luglio; questa terminologia si precisa il 27 ottobre nella nozione di «motivi-cornice» (Rahmenmotive) i quali ne determinano lo sviluppo a fattori a generali» distinti da quelli «che completano il quadro e variano a seconda degli incidenti vissuti dal soggetto». È notevole che questa concezione strutturale, solidale con una ricostruzione della genesi della libido appoggiata retrospettivamente al suo coronamento nell'Edipo, si traduca in una rappresentazione sistematica delle condizioni dell'emergere della moralità. Esistono zone sessuali arcaiche, ci dice una lettera del 14 novembre 1897, ma queste zone non sono in origine delimitate, ché anzi l'apporto della libido è inizialmente diffuso. La nozione di fantasma retroattivo, e di pulsioni emergenti retroattivamente, dev'essere dunque compresa attraverso il tema della non-determinazione primaria della sessualità. Le zone sessuali non sono inizialmente delimitate, tutto avviene come se lo fossero retroattivamente a partire dal fantasma e come se la zona erotica, in quanto fonte di piacere, derivasse essa stessa dal fantasma, la cui funzione è dar corpo a quest'idea del godimento parziale, delimitabile al livello dell'organo. In sintesi, devono essere considerati cinque livelli di determinazione: zona sessuale organica non delimitata; ricordo dell'eccitazione delle zone abbandonate, dove l'elemento essenziale è che siano abbandonate; nella misura in cui esse sono abbandonate, ci sarà scarica di dispiacere anziché di piacere; in questa misura, l'individuo si volgerà via dal ricordo, e volgersi via dal ricordo è l'equivalente del disgusto dinanzi all'oggetto attuale: ciò ci darà la chiave della rimozione. Nella misura in cui l'individuo avrà voltato le spalle alla zona abbandonata, ci sarà, in effetti, liberazione d'angoscia. C'è trasformazione dell'angoscia in ripulsa (Verwerfung). Queste parti d'interpretazione ancora eterogenee, derivanti dall'ambito della moralità e da quello dell'arte, si articoleranno in un sistema assai progressivo. Sottolineiamo nondimeno, al fine di meglio caratterizzarne la novità, che taluni elementi destinati a integrarsi in tale elaborazione erano già abbozzati nel periodo che stiamo considerando. In una lettera di Freud datata 5 novembre 1897, contemporanea quindi alla sua autoanalisi, troviamo in effetti associati il riferimento all'opera di J. M. Baldwin Mental Development in the Child and the Race, l'evocazione di un seminario di Beard, un'allusione all'interpretazione data qualche giorno prima di Edipo e di Amleto e l'espressione dell'interesse appassionato che suscitavano in lui le visite del suo amico Emmanuel Lòwy, professore di archeologia a Roma. Immaginiamo dunque per un istante di comporre questi fili in un'anticipazione sistematica degli ulteriori sviluppi. In epigrafe dovrebbero figurare i versi di Goethe ricordati il giorno successivo all'incontro con Edipo: «Molte ombre care risorgono. Simili a una leggenda antica e per metà svanita, tornano il primo amore, la prima amicizia». Questa citazione, dirà Freud una trentina d'anni dopo, in occasione della commemorazione del poeta nella sua casa di Francoforte, «potrebbe essere ripetuta in ogni nostra analisi». Il fatto che, attraverso la leggiadria dell'espressione poetica, essa ci riveli l'affinità del «mito individuale» e del «mito storico», ci fornisce anche la migliore illustrazione del seguito dato da Baldwin alla famosa «legge» di Haeckel: «l'ontogenesi ricapitola la filogenesi»; mentre la passione archeologica di Freud non cesserà di sostenere la traduzione volta a volta metodologica e metaforica, dallo e scavo» degli Studi sull'isteria alla messa in scena pompeiana di Gradiva, fino alla meditazione di Das Unbehagen in der Kultur (Disagio nella civiltà) sulla sopravvivenza sincronica degli strati depositati dalle Rome successive: nucleo edipico di sviluppo, sedimentazione e resurrezione delle organizzazioni culturali, intrecci della vita e della morte nella chiave di un destino comune, nella sua legge periodica, agli individui e ai popoli: chi non presentirebbe, al polo di convergenza di questi vari temi, l'abbozzo di quella che sarà, nella sua espressione matura, la rappresentazione freudiana della cultura? Già a questa data tale costruzione potrebbe avere ossessionato Freud al modo di uno di quei miti endopsichici la cui nozione egli riferisce alla percezione confusa che il soggetto avrebbe della propria struttura. «Ti figuri» scrive a Fliess il 12 dicembre 1897 «che cosa possono essere i miti endopsichici? Ebbene, sono le produzioni ultime della mia attività cerebrale. L'oscura percezione interna da parte del soggetto del suo proprio apparato psichico suscita illusioni mentali (Denkillusionen), che naturalmente sono proiettate al di fuori e, tipicamente, nel futuro, in un aldilà. L'immortalità, la ricompensa, l'intero aldilà (das ganze Jenseits), tali sono le concezioni della nostra psiche interna... t una psico-mitologia.» Queste righe sono state giustamente accostate dagli editori delle lettere di Freud alle tesi formulate nel 1908 nell'articolo sul poeta e l'attività fantasmatica: «Quanto ai materiali, essi provengono dal patrimonio popolare costituito dai miti, dalle leggende e dai racconti. Lo studio delle creazioni psicologiche popolari è lungi dall'essere compiuto e tutto induce a credere che i miti, ad esempio, siano verosimilmente vestigia deformate dei fantasmi di desiderio comuni a intere nazioni e che rappresentino i sogni secolari della giovane umanità.» Consideriamo con attenzione dove si situi l'originalità di queste concezioni. Essa non concerne innanzitutto l'analogia delle due «infanzie», individuale e storica: il tema è, tutto sommato, abbastanza banale; essa ha a che fare, invece, col modo della genesi considerata rispettivamente per l'una e per l'altra. La nozione di mito endopsichico fa apparire nella proiezione della struttura soggettiva, e più precisamente della sua scissione interna, la fonte delle grandi categorie nelle quali si modellano le fantasie costitutive della trama dei miti. Il problema consiste allora nel sapere se non possiamo assegnare, nel registro della storia umana, un equivalente di questa scissione soggettiva. Una tale convergenza presupporrebbe che la teoria psicoanalitica, ossia la teoria del transfert, si congiungesse sotto qualche aspetto alla teoria della restituzione «archeologica». Dal punto di vista della storia dei metodi, il dato primario da questo punto di vista ci è fornito dagli scambi intervenuti nel corso dell'Ottocento fra le accezioni cosmologica, geologica, archeologica e linguistica del concetto di e strato D. III. LA NOZIONE DI STRATIFICAZIONE E IL TRANSFERT Contemporaneo di Max Mller, di cui applicò i principi generali alla storia arcaica delle lingue indoeuropee, Georg Curtius, nato a Lubecca nel 1820, discepolo di Bopp e professore di letteratura greca all'università di Lipsia, pubblicò nel 1867 un saggio Zur Chronologie der indogermanischen Sprachforschung [Sulla cronologia della ricerca linguistica indoeuropea] mirante a instaurare una stretta associazione fra la linguistica comparata e il metodo storico. «Anche nei limiti in cui l'analogia della scienza del linguaggio con le scienze naturali è realmente giustificata» egli scrive «essa pare applicarsi soprattutto a quelle fra le scienze che, come la geologia e la paleontologia, si occupano di oggetti mutevoli e assai differenziati nel corso del tempo. Se Max Miiller esclude l'uso della parola "storia" per il linguaggio, lo si deve senza dubbio al fatto che egli subisce le esigenze di un'accezione ristretta, peculiare alla lingua inglese, del vocabolo history... La concezione genetica della vita del linguaggio è precisamente ciò che distingue la nuova linguistica dall'antica, la quale si limitava o a una semplice statistica o al saggio di classificazione sistematica dei fenomeni del linguaggio.» A questo punto di vista si ricollega nel modo più naturale l'esigenza di una cronologia: «In ogni considerazione storica si tratta di fatti che si susseguono, che si organizzano secondo un prima e un poi nei particolari come nell'insieme. La storia non è nulla senza una cronologia, senza una determinazione di periodi fondata su dati cronologici». Ma la nozione di cronologia si presta a equivoci. Essa non potrebbe in effetti essere interpretata nel senso di un ordine lineare. Il fatto che l'investigazione storica di Jacob Grimm nel campo della lingua tedesca si sia trovata in perfetto accordo con le scoperte di Bopp nel suo sistema delle coniugazioni rivela, ad esempio, che «il ricco tesoro delle forme si è prodotto per strati successivi». In generale, «il linguaggio offre in un momento qualsiasi della sua durata un aspetto simile a quello dei giacimenti di rocce più o meno antichi, collocati l'uno sopra l'altro o l'uno accanto all'altro sulla superficie terrestre. Occorre dunque rifiutare il metodo che vorrebbe spiegare a priori la compresenza delle forme mediante una sola idea assunta come fondamento. Bisogna cominciare distinguendo i vari strati di forme collocate l'una sopra l'altra o l'una accanto all'altra. 2 questo il solo mezzo per risalire verso lo stato primitivo e, partendo di là, per riconoscere e comprendere, come qualche cosa d'intelligente e di ragionevole, i primi tentativi per creare le forme del linguaggio, poi la successiva crescita di nuove formazioni, e infine la riunione di tutte le formazioni sorte così, una dopo l'altra, in un sistema completo. In verità l'osservazione di questa stratificazione di forme ci conduce ora molto più lontano di quanto non fossimo in grado di prevedere al primo colpo d'occhio». Si trova così approfondita, nel senso di una «storicizzazione dell'analisi dei sistemi, la nozione elaborata da Max Miiller — e da lui ripresa nel titolo di una conferenza del 1868 — della stratificazione del linguaggio. Riprendiamo l'analisi del caso di Elisabetta. «Fu questa» ci dice Freud «la mia prima analisi completa di un caso d'isteria. Essa mi permise di passare per la prima volta, con l'aiuto di un proce‑ 14 dimento (Verfahren) che eressi più tardi a metodo, all'eliminazione per strati (schichtweise Ausrdumung) dei materiali psichici, cosa che ci piaceva paragonare alla tecnica di scavo di una città sepolta. Mi facevo raccontare innanzitutto dalla malata tutto ciò che sapeva, segnando con cura i passaggi in cui un'associazione restava enigmatica, in cui sembrava mancare un elemento (Glied) nella catena (Kette) dei legami causali; successivamente mi spingevo più avanti negli strati (Schichten) più profondi del ricordo.» Osserviamo innanzitutto la portata dell'analisi archeologica qui posta senza ambiguità; inoltre, e soprattutto, il significato metodologico che vi si congiunge, facendo emergere col concetto di stratificazione (Schichtung) il punto di articolazione fra la metodologia propriamente psicanalitica e la cultura. Tale sarà, dieci anni dopo, l'insegnamento della Gradiva di Jensen. Ma la stessa immagine vi sarà sviluppata a mo' d'illustrazione del transfert. Indoviniamo così che ogni sviluppo dell'esperienza psicanalitica è destinato a tradursi in un approfondimento dei rapporti fra l'esperienza psicanalitica e la teoria della cultura, e ogni manifestazione nuova del transfert in un ap.. profondimento dei rapporti fra transfert e cultura; di fatto, cinquant'anni di ricerca empirica e di elaborazione teorica si ordinano sistematicamente in questa prospettiva. Consideriamo come punti di riferimento le due topiche o modelli strutturali dell'apparato psichico costruiti da Freud attorno al 1900 e al 1920. A questi due grandi impulsi della creazione freudiana si ricollegano congiuntamente lo sviluppo della teoria del transfert e lo sviluppo della teoria della cultura. Nel 1895 la nozione di transfert era in effetti presente agli Studi sull'isteria secondo le tre dimensioni che corrisponderanno trent'anni dopo (1925) a quelle di Hemmung, Symptom und Angst (Inibizione, sintomo e angoscia): teoria psicanalitica della solitudine umana, fondata essa stessa sui dati dell'esperienza traslazionale. Tra questi due limiti ha avuto luogo però il mutamento decisivo, corrispondente allo spostamento d'interesse dall'interpretazione delle nevrosi alla costruzione della psicosi. Con la nozione di destino pulsionale e con l'introduzione del narcisismo, sostenuto dal commento del caso Schreber, la relazione di alterità occuperà ormai nella teoria psicanalitica una posizione centrale. In direzione del transfert, questo progresso è contrassegnato dall'elaborazione della teoria dei prototipi; nel campo della cultura da quella riflessione su Schreber che è rappresentata da Totem e tabù: aspetti complementari di questa problematica dell'alterità che vedremo svilupparsi attorno alla seconda topica, con l'opposizione di Eros e di Thanatos. Ora, che quest'ultima opposizione sia a sua volta indissociabile sia dalla teoria del transfert sia dalla teoria della cultura risulta in modo evidente, da un lato, dall'appartenenza della ripetizione traslazionale alla sfera delle pulsioni di morte e, dall'altro, dalla generalizzazione che l'esigenza ontogenetica di ripetizione trova nel ciclo della filogenesi. Un'ultima nozione, quella della verità storica, coronerà questo sviluppo e ne condenserà l'essenziale: questa nozione è presente nel momento in cui l'analisi di Schreber rivela nel suo delirio una costruzione teorica regressiva di cui non si saprebbe esprimere il rapporto alla verità se non riconoscendo che essa «è stata vera», sia secondo la dimensione della storia del soggetto sia secondo la dimensione della storia dell'umanità. Essa darà un sostegno sia al metodo di costruzione biografica presentato nel 1932 come tipico della psicoanalisi sia alla costruzione storica mediante la quale Freud si sforzerà di ricostruire nel 1938 in Der Mann Moses und die monotheistische Religion (Mosè e il monoteismo) le origini del monoteismo. Da una tappa all'altra, dobbiamo dunque situare nel campo di una metodologia traslazionale la portata operativa di questa nozione di stratificazione, derivata dalla pratica stessa della psicoanalisi, di cui il commento della Gradiva di Jensen avrebbe attestato la posizione centrale nella sfera della cultura. E non è un caso che questo contributo sia venuto poco tempo dopo le Drei Abhandlungen zur Sexualtheorie (Tre saggi sulla teoria della sessualità), che sanciscono la spiegazione genetica del fantasma in desiderio, e alla vigilia delle grandi ricostruzioni ontogenetiche e filogenetiche di Psychoanalytische Bemerkungen iiber einen autobiographisch beschriebenen Fall von Paranoia (Dementia paranoides) (Osservazioni psicoanalitiche su un caso di paranoia descritto in note autobiografiche: Presidente Schreber) e di Totem e tabù: la stratificazione è l'esplicitazione traslazionale della dimensione di alterità immanente alla genesi. Ma il privilegio così riconosciuto al commento di Gradiva (Der Wahn und dia Trdume in W. Jensens «Gradiva» [Delirio e sogni nella a Gradiva» di W. Jensen]) ci insegna anche che la teoria freudiana della cultura non ha avuto immediatamente il valore di un progetto sistematico. Il rimosso, il transfert non vi sono in realtà evocati da concetti ma vi compaiono per così dire allo stato nascente, e come se l'intima unione dei registri teorico e poetico fosse chiamata a darvi testi‑ monianza del «doppio senso» su cui si fonda l'analisi. Perché, si chiede Freud, questa sorprendente predilezione, in Gradiva, per i discorsi ambigui? In una prospettiva didattica o teorica, si può dire che «essa non sia altro che un corollario della duplice deter‑ minazione dei sintomi, in quanto i discorsi stessi costituiscono sin‑ tomi e tutti questi sono la conseguenza di compromessi fra il con‑ scio e l'inconscio». Quest'opinione teorica si fonda a sua volta su una situazione romanzesca la cui singolarità — nella duplice acce‑ zione del termine — riserva al pensiero del doppio senso un posto privilegiato. «I discorsi di Hanold hanno per lei soltanto un senso; solo Gradiva ne coglie l'altro. Così, dopo la prima risposta di Hanold: "Sapevo che era tale il suono della tua voce", Zoe, ancora insuffi‑ cientemente edotta della situazione, chiede come ciò sia possibile, dato che egli non l'ha ancora sentita parlare. In un secondo incon- tro, la giovane è sconcertata per un istante dal delirio di Hanold, ia della loro amicizia risalente all'infanzia, ma Hanold non so‑ Lta la portata del proprio discorso e lo interpreta in relazione al rio che lo possiede.» L'alterità apre così una dimensione nuova doppio senso del discorso • la teoria vi confina con la Poetica, e Poetica con la Poesia. La 'Poesia non è infatti semplicemente un del suono e del senso, effetto di discorso, essa è fenomeno d'ascolto, verità che non parla, come ci dice Freud, se non per essere intesa al volo. Non ci si stupirà dunque che quest'analisi del doppio senso, condotta dapprima nell'ordine del linguaggio per manifestarvi l'equivoco della parola pronunciata o compresa, si sviluppi in un'interpretazione dell'amore di transfert, in modo da farcene sentire le affinità poetiche. a Il romanziere sa che alla genesi del delirio ha concorso una componente di lotta contro l'amore, e lascia che la giovane, che intraprende la guarigione, intuisca la componente del delirio destinata a essere per lei quella più gradevole. Solo la comprensione di questo fatto può indurla a lasciarsi curare. Soltanto la certezza di essere amata può convincerla a confessare il proprio amore. Il trattamento consiste nel restituire dall'esterno a Hanold i ricordi rimossi ai quali egli non può restituire la libertà dall'interno. Tutto sarebbe però stato vano se la terapia non avesse tenuto conto dei sentimenti di Hanold e se la traduzione del delirio non fosse stata in ultima analisi: vedi, tutto ciò significa che mi ami. Ma si sa che è proprio di Gradiva e del suo commento il fatto di non limitare al discorso, all'interpretazione e al transfert questa poetica del doppio senso. a Mi pare» esclama Gradiva a che duemila anni fa abbiamo diviso il nostro pane, non ricordi?» Pompei si identifica dunque qui con l'infanzia, il passato storico col passato individuale, l'archeologia con la psicoanalisi. Il doppio senso non riguarda solo le condizioni traslazionali del ritorno del rimosso; esso è essenziale all'elaborazione del tema della cultura. È vero che noi non afferriamo immediatamente in che modo si operi questo mutamento. Quest'indecisione concettuale manterrà precisamente la nozione di cultura propostaci da Gradiva nel registro poetico in cui si è sviluppato il doppio senso dell'espressione. Ma essa fa valere anche la metafora dello scavo come anticipazione del metodo d'analisi della cultura. Se già nel 1895, con gli Studi sull'isteria, era posto il modello che, attraverso la Pompei di Gradiva conduce alla Roma del Disagio nella civiltà, è perché il concetto psicoanalitico degli strati e il procedimento psicoanalitico dell'analisi stratificata sono sempre presenti dietro quest'evocazione costantemente rinnovata della tecnica archeologica. Fra la storicità dell'individuo e la storicità caratteristica della cultura, fra i due modi rispettivi di sedimentazione, si tratterà dunque di assegnare il fondamento di un'analisi epistemologica precisa. E poiché, in definitiva, non c'è altro modo di accedere alla stratificazione soggettiva se non attraverso il processo di transfert, possiamo indubbiamente dare per scontato il fatto che questo ci illumini sul passaggio dall'esperienza psicoanalitica alla teoria della cultura, e più precisamente che esso ci aiuti a capire il tipo di organizzazione su cui questa transizione si fonda. IV. DAL DISCORSO PSICOTICO ALLA SUBLIMAZIONE CULTURALE: PATERNITÀ E MEDIAZIONE In che modo questo primo abbozzo di una stratificazione in cui si prolungherebbe e si generalizzerebbe la stratificazione del tran‑ sfert si è dunque sviluppato e sistematizzato in una teoria: la teoria di riferimento clinico privilegiato, che è l'analisi del delirio. Perse‑ freudiana della cultura? guendo quest'ultima parallelamente all'analisi del transfert, egli sfo‑ Vediamo abbozzarsi questa versione teorica l'anno successivo al cia nella costituzione della teoria della cultura in quanto discorso commento di Gradiva, con Die kulturelle Sexualmoral und die mo- stratificato; la funzione del padre è allora quella di sostenere dalle derne Nervosit?it [La morale sessuale culturale e la nervosità mo- sue successive posizioni lo sviluppo di questa stratificazione. derna]; tra i principali motivi d'interesse di questo testo è quello , Riprendiamo in effetti le conclusioni tratte da Jung dalla sua breve di testimoniarci innanzitutto quale rinnovamento abbia apportato al analisi di quattro casi di nevrosi. c Nel momento in cui si solleva punto di vista genetico dei Tre saggi sulla teoria della sessualità il velo sul problema del destino dell'individuo» problema che è l'elaborazione del transfert. I Tre saggi del 1905 erano dominati dal identificabile con quello del destino della sessualità «lo sguardo si concetto di stadio, mentre nella Morale sessuale del 1908 prevale allarga dalla storia individuale alla storia dei popoli .» L'attenzione il concetto di strato. Certo, abbiamo individuato l'intervento di que- si concentra innanzitutto sulla storia delle religioni. La religione st'ultima nozione all'origine dell'interpretazione delle zone erogene, dell'Antico Testamento, scrive sostanzialmente Jung, ha promosso ma le sue condizioni d'impiego sono ormai precisate: la nozione di il padre di famiglia al rango di un Jehova degli ebrei al quale il strato emerge in Freud ogni volta in cui la genetica è chiamata ad / popolo in stato d'ansia deve obbedienza. Un grado intermedio verso articolarsi a una teoria del discorso. Questa, nondimeno, non dipen- 4, la divinità è rappresentato dai patriarchi (Erzvater). L'angoscia ne‑ derà dal registro della psicoanalisi se non in ragione della dipen- vrotica della religione ebraica, tentativo imperfetto di sublimazione denza in cui il discorso si trova dalla posizione del suo destinatario: da parte di un popolo ancora barbaro, ha generato il crudele rigore posizione dello psicoanalista nel transfert, posizione di un garante della legge mosaica, il cerimoniale ossessivo del nevrotico, ricordato della verità nella teoria. Dobbiamo dunque cercare di chiarire que- ' da Freud nel suo articolo del 1907 sul rituale. I soli a liberarsene sto riferimento, in modo da capire a quale titolo esso emerga nella c sono i profeti, ai quali è riservato il privilegio dell'identificazione pratica, nella teoria del soggetto e nella teoria dello sviluppo umano. con Jehova, ossia la perfetta sublimazione. Essi diventano allora i A questo proposito non dev'essere trascurata l'influenza di Jung, padri del popolo. Il Cristo, cui incombe il compito di realizzare il e lo stesso Freud non solo ce ne ha dato un'indicazione nella pre- messaggio dei profeti, elimina il timore di Dio e insegna agli uomini fazione di Totem e tabù, associando al nome di Wundt quello del che il vero rapporto alla divinità è quello dell'amore. Egli spezza discepolo da cui si separa per riconoscere il debito che ha nei suoi così il cerimoniale nevrotico della legge e dà l'esempio della rela‑ confronti, ma ne ha lasciato traccia nella corrispondenza con Abra-, zione personale dell'amore a Dio. Le sublimazioni incomplete della ham nel 1909, a proposito dell'articolo di Jung sul significato del pa- ' massa cristiana conducono al cerimoniale della Chiesa, da cui pos‑ dre per il destino dell'individuo.sono liberarsi solo pochi santi e riformatori aventi una maggiore , «Avevo già sentito molto parlare del contributo di Jung, scri- ?i capacità di sublimazione. Inversamente, prosegue Jung, ritroviamo veva Abraham «e mi attendevo dunque qualcosa di molto originale, nel corso della vita individuale le tappe che vediamo susseguirsi Purtroppo mi ha un po' deluso perché in verità non apporta sulla ' sulla scena della storia. I sentimenti della prima infanzia, rimossi questione punti di vista nuovi. D'altra parte, è anche Lei dell'av- y nell'inconscio, sono la radice delle prime sublimazioni religiose. Dio viso che il padre (sottolineato dall'autore) è preponderante fino a '' prende il posto del padre e il conflitto della sessualità e dell'amore questo punto? In molte mie analisi lo è la madre; in altre non si sublime si esprime nella figura del diavolo. può stabilire chi, fra il padre e la madre, abbia la maggiore impor- , Mettiamo ora questi suggerimenti a confronto con gli sviluppi tanza. Mi pare che su questo fatto abbiano una grande incidenza le ,'i delineati da Freud. Dall'esposizione di un materiale clinico caratte‑ situazioni individuali.» La risposta è nondimeno assai utile al fine rizzato semplicemente dagli «atteggiamenti» del bambino verso i di porre la questione dell'influenza di Jung, non direttamente sullo i membri della propria costellazione familiare e dai conflitti che ne sviluppo della psicoanalisi bensì sullo sviluppo della sua problema- derivano l'interesse si trasferisce direttamente alla costituzione in‑ tica. «Fino a oggi» scrive Freud «ho considerato più importante, terna del delirio, compreso come una sublimazione abortita; il con- per la persona, il genitore dello stesso sesso; ma posso anche pren- tributo della patologia alla teoria della cultura, ridotto da Jung a dere le mie disposizioni in funzione di una maggiore varietà indivi- o una trasposizione non motivata dal registro individuale al corso del‑ duale. Jung ha tirato fuori, ma con molto frutto (corsivo nostro), la storia, trae perciò una conferma dal movimento proprio secondo un elemento dell'insieme.» cui si genera il discorso umano, e del quale il delirio costituisce Era dato così l'impulso iniziale alla ricerca la cui problematica una peripezia. si compendierà nel tema del «parricidio». La cultura, agli occhi Primo dato: la presentazione delle teorie sessuali infantili. «Ben‑ di Jung, perpetuava l'investimento del padre vivo, mentre agli occhi ché esse si sviino in modo grottesco» scriveva Freud nel 1908 di Freud consacrerà la rottura violenta del principio di spiritualiz- «ognuna di esse contiene nondimeno un frammento di pura verità; zazione, rappresentato dalla figura paterna, con l'individuo vivo da questo punto di vista esse sono analoghe alle soluzioni definite che ne sarà stato il veicolo. L'opposizione è però anche di ordine "geniali" che gli adulti tentano di dare ai problemi posti dal mondo metodologico. Jung si limita a trasporre nel registro della fede reli- che superano l'intelletto umano. Ciò che in esse v'è di corretto e giosa alcuni orientamenti dell'analisi delle nevrosi. Freud innova di pertinente si spiega col fatto che trovano la loro origine nelle nella misura in cui assegna all'investigazione culturale un centro componenti della pulsione sessuale già all'opera nell'organismo del bambino; non sono l'arbitrarietà di una decisione psichica o il caso delle impressioni a far sorgere ipotesi del genere bensì le necessità della costituzione psicosessuale; perciò possiamo parlare di teorie sessuali infantili tipiche, e perciò troviamo le stesse concezioni erronee in tutti i bambini la cui vita sessuale ci è accessibile. Ci troviamo dunque di fronte a sistemi intellettuali parziali, e alle drammatiche vicissitudini dei tentativi di verifica di questi sistemi è dedicato l'articolo di Freud. In particolare si annuncia la ricostruzione genetica del dubbio: quando il bambino, ad esempio, = sembra sulla buona via per postulare l'esistenza della vagina e per riconoscere in una tale penetrazione del pene del padre nella madre l'atto mediante il quale il bambino appare nel corpo della madre, la ricerca si interrompe, sconcertata; essa inciampa nella teoria secondo la quale la madre possiede un pene come l'uomo, e l'esistenza della cavità che riceve il pene rimane ignota al bambino. Si ammetterà volentieri che proprio l'insuccesso di questo sforzo di pensiero facilita il rifiuto (Werfen) e conseguentemente l'oblio. Questa ruminazione intellettuale e questo dubbio sono nondimeno i prototipi di ogni pensiero ulteriore circa la soluzione di problemi, e questo primo insuccesso avrà sempre, più tardi, un effetto paralizzante». Nello stesso periodo, il tema trova un'illustrazione nell'analisi de L'uomo dei topi (Bemerkungen ftber einen Fall von Zwangsneurose, Osservazioni su un caso di nevrosi ossessiva). a Un bisogno psichico comune agli ossessionati e che... ci conduce lontano nell'investigazione delle pulsioni, è quello dell'insicurezza nella vita o quello del dubbio. La formazione dell'insicurezza è uno tra i metodi di cui la nevrosi si serve per staccare il malato dalla realtà (Realittit) e isolarlo dal mondo esterno, cosa che, in fondo, è una tendenza comune a ogni disturbo nevrotico.» In una nota famosa di questo scritto si ha anche il rinvio della genesi del dubbio alla filiazione paterna. Secondo Lichtenberg, l'astronomo sa press'a poco con la stessa certezza se la luna è abitata e chi è suo padre, ma sa con una certezza del tutto diversa chi è sua madre.» Fu in effetti = un grande progresso della civiltà quando l'umanità si decise ad adottare, accanto alla testimonianza dei sensi, quella della conclusione logica e a passare dal matriarcato al patriarcato. Statuine preistoriche nelle quali una piccola forma umana è assisa sulla testa di una più grande rappresentano la discendenza paterna. Atena non ha una madre ma esce dal cervello di Giove. Ancora nella nostra lingua il testimone (Zeuge) in tribunale trae il nome dalla parte maschile dell'atto della procreazione; e già nei geroglifici il testimone era rappresentato dagli organi genitali maschili»1, Viene così istituita una sequenza fra una serie di nozioni — sistemi intellettuali, verità storica, testimonianza dei sensi e conclusione logica, paternità — che interessano tutte la posizione, nella realtà dell'oggetto, di una rappresentazione astratta. Inaugurata dall'analisi del delirio ossessivo dell'Uomo dei topi, questa sequenza troverà la sua forma definitiva solo a vantaggio dell'analisi del delirio psicotico, in questo caso il delirio di Schreber, in cui sarà messa ' Un legame etimologico analogo esiste nella lingua italiana tra i vocaboli • testicolo > e «teste «. In latino, in entrambe le accezioni, si usava la stessa forma • testis >. [N.d.T.] in evidenza l'articolazione dei suoi vari momenti nella struttura del soggetto. Questo progresso è decisivo nella misura in cui fa emergere il processo di regressione come il negativo dell'acculturazione, o meglio l'elaborazione del concetto di regressione come la controparte empirica, sul terreno proprio della psicoanalisi, dell'elaborazione di una teoria della cultura. Ricordiamo dunque preliminarmente alcuni elementi di metodo. L'ostacolo principale in cui ci s'imbatte nell'interpretazione del caso risiede nella confusione tra il meccanismo della formazione dei sintomi, nella fattispecie il delirio, e quello della rimozione. «Non abbiamo alcun diritto di supporre • scrive Freud «che i meccanismi siano identici e che la formazione dei sintomi segua la stessa via della rimozione, che sarebbe percorsa per così dire nei due casi in senso opposto.» È importante inoltre decomporre questo meccanismo della rimozione. Distingueremo così tra la fissazione, la rimozione propriamente detta e l'insuccesso della rimozione, che conduce al ritorno del rimosso. Appuntiamo allora il nostro sguardo sulla fissazione, destinata a fungere da polo della regressione, e lasciamoci guidare dal fantasma della distruzione del mondo. Ciò che è in gioco qui non è la regressione della libido da un oggetto a un altro oggetto, ma il ritirarsi dell'intera libido dalla sfera degli oggetti. Potremo allora interpretare il delirio come un tentativo di ricostruzione. Questa concezione del delirio impegna il tema della cultura da tre punti di vista. Da un lato, ci dice Freud, «se si passano in rassegna le costruzioni ingegnose che il delirio di Schreber edifica sul terreno religioso (la gerarchia di Dio — le anime provate — i vestiboli del cielo — il Dio inferiore e il Dio superiore), si può valutare retrospettivamente la ricchezza delle sublimazioni che sono state annientate in lui dalla catastrofe del distacco generale della libido.» D'altra parte, se è vero che «i paranoici possiedono una fissazione allo stadio del narcisismo», possiamo dire che «la somma di regressione che caratterizza la paranoia è misurata dal cammino che la libido deve percorrere per tornare dall'omosessualità sublimata al narcisismo». Infine, su un punto particolare, ossia sulla relazione di Schreber al sole, si può presentire l'analogia tra il processo patologico di ricostruzione delirante e una tappa dello sviluppo culturale. Il sole parla in effetti un linguaggio umano come un essere animato e ci vediamo costretti, dice Freud, «a considerarlo come un simbolo paterno sublimato». Schreber ci assicura inoltre che i raggi del sole impallidiscono davanti a lui quando, rivolto verso l'astro, gli parla ad alta voce. E «una volta guarito», si vanta di poter fissare il sole senza difficoltà «e di restarne solo moderatamente abbagliato, cosa che naturalmente non gli era possibile prima». Questo privilegio delirante di essere capace di fissare il sole senza esserne abbagliato presenta un interesse «mitologico» e potrà essere compreso sulla base del modello dell'ordalia. L'intero problema consisterà dunque nel comprendere l'articolazione tra il processo psicologico della sublimazione e il processo storico della cultura. Sappiamo già che questa problematica è sostenuta dalla corrente di pensiero che ha preso origine, con la concezione delle teorie infantili, dall'analisi del dubbio, in relazione alla posizione mediata della paternità, e della realtà in cui essa è chiamata a fondarsi. La catastrofe interiore di Schreber, nella quale è coinvolto il suo mondo, il ritiro dei suoi investimenti dal campo dell'esteriorità, sanciscono in effetti la rottura di questa mediazione sotto l'esigenza affascinante dell'investimento narcisistico. Il suo tentativo di ricostruzione abortisce, si sfrena nel delirio invece di compiersi nella sublimazione, nella misura in cui non dispone in un centro di mediazione di nessun punto d'appoggio per la sua espressione. Per individuare il punto di congiunzione fra il processo di sublimazione e la problematica della cultura, dobbiamo dunque ricercare se esiste un modo di corrispondenza assegnabile tra le condizioni soggettive, che sono quelle della sublimazione, e le condizioni effettivamente reali dell'avvento della cultura; in altri termini, dobbiamo decifrare la corrispondenza esistente fra l'analisi di Schreber e il suo commento culturale, Totem e tabù. V. L'ATTO FONDATORE: SOLITUDINE NEVROTICA E DIVENIRE UMANO Totem e tabù ha avuto la fortuna abbastanza rara di essere stato indubbiamente lo scritto di Freud più malmenato e di aver conservato nondimeno intatto il suo credito agli occhi del suo autore sino al termine della sua attività. Si può parlare, a proposito di quest'opera, di dogmatismo? Fra tutte le ipotesi formulate da Freud, la realtà storica del parricidio, e la trasmissione della colpevolezza che ne è la traccia, sono precisamente quelle che egli ha circondato delle massime precauzioni critiche. Egli dev'essere dunque stato incoraggiato a quest'ipotesi da qualche motivo propriamente analitico, e quest'impressione viene rafforzata dai criteri seguiti nella ricerca. «I due soggetti enunciati del titolo di questo libriccino scrive Freud nella prefazione «il totem e il tabù, non vi sono trattati nello stesso modo. Il problema del tabù vi riceve una soluzione che io considero pressoché definitiva e certa. Lo stesso non posso dire del totemismo, a proposito del quale devo dichiarare modestamente che la soluzione che ne propongo è soltanto quella che i dati attuali (corsivo di Freud) della psicoanalisi sembrano giustificare e autorizzare.» Freud intende dunque collocarsi qui solo dal punto di vista psicoanalitico. La ricerca si svilupperà dunque nello stile propriamente analitico dello = scavo». Nel registro clinico, essa procede dal conflitto nevrotico, manifestato dalla proibizione dell'incesto e dall'ambivalenza dei sentimenti, al nucleo narcisistico da cui deriva il processo psicotico e al quale rimanda il capitolo Animismo, magia e onnipotenza delle idee. «Forse questo stadio intermedio fra l'autoerotismo e l'amore d'oggetto» leggevamo d'altra parte nell'analisi di Schreber = è inevitabile nel corso di ogni sviluppo nprmale ma pare che talune persone vi si arrestino in un modo stranamente prolungato... e le teorie sessuali infantili, che attribuiscono dapprima ai due sessi gli stessi organi genitali, devono esercitare su questo fatto un'influenza grandissima.» Ma a questo livello è implicato innanzitutto il rapporto del soggetto alla realtà. Vedremo che tale sarà precisamente il tema fondamentale della rico‑ 22 struzione etnografica dell'atto che è a fondamento della comunità primitiva. Consideriamo ora un po' più da vicino lo sviluppo e il legame dei quattro capitoli di Totem e tabù. A proposito del primo capitolo, Il timore dell'incesto, sottolineiamo innanzitutto che esso mira a ricollocare nel contesto del sistema totemico, in una posizione intermedia fra la società • naturale» e la società «allargata», la questione posta nel 1897 delle origini e della funzione dell'esogamia. Con questa formulazione si impone però uno spostamento notevolissimo del punto di vista. «In che modo la famiglia reale» si chiede Freud «è stata sostituita dal gruppo totemico? È questo un enigma di cui troveremo forse la soluzione solo quando avremo ben capito la natura del totem.» Sul piano descrittivo si evocherà dunque la nozione del «sistema classificatorio» proposto da Morgan. Nella misura in cui questo sistema si fonda sulla funzione classificatoria del totem, la questione consisterà però nel sapere se la repressione dell'incesto non sia subordinata alle vicissitudini della relazione al padre. È pur questa la via su cui si impegnerà Totem e tabù; i tentativi di spiegazione della repressione dell'incesto sono falliti perché dissociavano l'investimento libidico dall'aggressività verso il rivale; l'originalità di Totem e tabù consisterà nel far sorgere la repressione della libido da un mutamento dell'aggressività che viene ad essa associato dalla struttura edipica. L'interpretazione del tabù, cui è dedicato il secondo capitolo, inaugurerà questo movimento mettendo in luce l'ambiguità soggiacente al tabù. L'analogia patologica svolge in proposito un triplice ruolo. Per quanto concerne la natura stessa dei processi, essa consente di ricostruire la componente di aggressività che è loro essenziale; quanto al loro oggetto, essa consente di riunire intorno a tratti paragonabili tre tipi caratteristici: i nemici, i capi, i morti; l'aggressività emerge dunque in effetti nella sua forma limite, il desiderio della morte di un personaggio onnipotente. Infine, per quanto riguarda il modo di manifestarsi di quest'ostilità, l'esperienza analitica — e più ampiamente psicologica — consente ancora di comprenderne l'imputazione ai demoni o agli spiriti mediante il meccanismo di proiezione. Queste stesse analogie pongono però una questione di principio relativamente ai rapporti fra nevrosi e formazioni sociali. «Dal punto di vista genetico' scrive Freud «la natura della nevrosi deriva dalla sua tendenza originaria a fuggire la realtà che non offre soddisfazioni per rifugiarsi in un mondo immaginario pieno di promesse allettanti. Nel mondo reale che la nevrosi fugge, regna la società umana, con tutte le istituzioni create dal lavoro collettivo; staccandosi da questa realtà, il nevrotico si esclude da sé dalla comunità umana.. Nei termini della nostra ricerca e nella prospettiva dei suoi primi risultati, l'opposizione così formulata si tradurrà dunque sotto questa forma: in che cosa l'espressione nevrotica del desiderio di morte differirà dalla sua espressione sociale (sociale, ossia reale, dal momento che l'osservazione ci insegna appunto che i due campi coincidono)? Ma la ricostruzione del meccanismo di proiezione ci dà l'assicurazione di un primo approccio. Abbiamo appena abbozzato una spie‑ gazione della credenza nei demoni mediante la proiezione delle pulsioni aggressive. Ora, il sistema così costituito in favore di un meccanismo «il cui prototipo è fornito da quella che abbiamo chiamato l'elaborazione secondaria dei contenuti del sogno» può prender posto in una serie coerente di rappresentazioni del mondo. L'umanità avrebbe conosciuto successivamente tre di questi sistemi intellettuali, tre grandi concezioni del mondo: la concezione animistica (mitologica), la concezione religiosa e la concezione scientifica. Se allora si cerca di riconoscere sotto quale categoria psicologica una tale serie si possa costruire, s'impone, come principio di deduzione l'onnipotenza delle idee la quale fissa il tema della terza parte dell'opera. Ci troviamo qui di fronte al problema dell'inserimento nella realtà. Innanzitutto «nulla sembra più naturale che ricollegare al narcisismo, come la sua caratteristica essenziale, il grande valore che il primitivo e il nevrotico attribuiscono alle azioni psichiche». Vediamo dunque precisarsi il nostro primo abbozzo dello sviluppo delle rappresentazioni del mondo. Se la fase animistica corrisponde al narcisismo, «la fase religiosa corrisponderà allo stadio di oggettivazione, caratterizzato dalla fissazione della libido ai genitori, mentre la fase scientifica avrà il suo corrispettivo nello stato di maturità dell'individuo, caratterizzato dalla rinuncia alla ricerca del piacere e dalla subordinazione della scelta dell'oggetto esterno alle convenienze e alle esigenze della realtà». Il parallelo non potrebbe essere però accettato senza critica. Mentre la nevrosi, come abbiamo sottolineato, è una fuga dal reale, tutta la difficoltà, nell'ordine storico, consiste nel capire a quale titolo l'animismo abbia potuto configurare, al contrario, un momento decisivo dell'innalzarsi dell'essere umano al livello della realtà. Tale sarà l'oggetto dell'ultimo capitolo di Totem e tabù e la funzione del «parricidio», espressione peraltro assai infelice poiché l'intento di Freud è precisamente quello di ricostruire l'avvento della funzione paterna sul fondamento dell'uccisione del capo dell'orda, ossia del rovesciamento dei rapporti primitivi di dominio Il nostro problema iniziale concerneva in effetti l'origine della comunità totemica. Abbiamo ricostruito le strutture di sociabilità sottostanti, fino a un momento caratterizzato dalla proiettività narcisistica; e se l'esperienza psicoanalitica ha potuto sostenerci in questo procedimento regressivo, è perché lo stato pre-totemico, a-culturale, il regno dell'orda, trova in effetti il suo modello nella psiconevrosi narcisistica, nella misura in cui questa porta al suo limite narcisistico l'asocialità caratteristica della nevrosi: e lo stesso rapporto che Schreber ha con l'imago «paterna», in cui egli esige di ritrovarsi in un rapporto duale ambivalente di dominio-dipendenza, l'ominide pre-totemico lo ha nei confronti del capo dell'orda. A questo punto interviene il mutamento decisivo. Questo rapporto duale, l'assembramento dei membri dell'orda, seguito dall'uccisione del capo, che viene divorato collettivamente, lo converte in una configurazione sociale. Questo mutamento è reso possibile dall'identificazione reciproca dei membri di quello che sarà cosi diventato un clan, il clan totemico. In altri termini, l'evento che fonda l'ordine culturale può essere descritto sotto due aspetti di cui merito essenziale della teoria freu‑ diana è per l'appunto l'aver riconosciuto la solidarietà. Innanzitutto la sociabilità totemica, figura iniziale della sociabilità umana, ha per fondamento la morte. Il contrassegno d'identificazione comune ai partecipanti all'uccisione del capo viene ricevuto dal morto in quanto tale. L'uccisione che mette fine al dominio del capo dell'orda è anche l'atto che apre all'ominide le vie di un pensiero astratto; essa dà inizio a questo rapporto mediato con l'assente in cui s'instaura la funzione culturale dell'antenato totemico, la capacità dell'assente di esercitare nel clan una potenza classificatrice. Così si rompe però il parallelo fra il nevrotico e il primitivo, fra l'animale totemico del piccolo Hans e il totem primitivo. Quello sancisce il disinserimento sociale, questo consacra l'avvento del legame sociale. Non sarà sufficiente sottolineare che il registro da cui dipende l'uccisione del capo dell'orda non è assimilabile a quello della nevrosi bensì a quello della perversione. Quel a perverso polimorfo» che è il bambino — diciamo meglio l'infans — passa infatti all'atto per proprio conto. Ma l'ominide non promuove il totem se non in quanto partecipa a un'uccisione collettiva. In ciò consiste lo status di «realtà storica», lo status di evento, attribuito da Freud a quest'atto. In questo punto essenziale si sciolgono ai nostri occhi la maggior parte delle difficoltà che ancora circondano Totem e tabù. «Un giorno», ci dice Freud, «i fratelli cacciatori si sono riuniti, hanno ucciso e divorato il padre, e questo fatto ha messo fine all'orda paterna. Una volta riuniti, sono diventati intraprendenti e hanno potuto realizzare ciò che nessuno di essi, preso singolarmente, sarebbe stato capace di fare.» Se l'uccisione del capo dell'orda può essere presentata come un evento «storico» è dunque per il fatto che essa è un'impresa collettiva, derivata dal sentimento diffuso di un'affinità di condizione tra i suoi artefici; la vittima divorata in comune è la loro vittima comune, e le varie fasi del pasto totemico attestano che esso arreca in effetti il coronamento di un evento integralmente collettivo. Così la situazione e il processo cui ci troviamo di fronte appaiono in prima istanza paragonabili a quelli che Freud evocava nel 1911 in Formulierungen iiber die zwei Prinzipien des psychischen Geschehens (Precisazioni sui due principi dell'accadere psichico) a proposito dell'iscrizione dell'opera d'arte nel Reale della comunicazione. L'ominide socializza nell'uccisione collettiva del capo la sua pulsione di aggressione, come il creatore socializza, nell'opera, il fantasma di cui si circonda il suo desiderio. «Un giorno, di fatto» dice Freud i fratelli si sono riuniti, hanno ucciso e divorato» il capo dell'orda. L'uccisione è dunque un fatto storico pur essendo un atto collettivo, i fratelli non divorano in comune se non ciò che hanno ucciso in comune, e non c'è differenza fra il dire che l'uccisione ha luogo a realmente» e che essa instaura il sociale a fondamento del reale. Di qui la discussione aperta da Freud alla fine del libro sull'opposizione fra a realtà psichica' e «realtà di fatto». Non si potrebbe assimilarle e considerare la reazione morale del primitivo come una reazione alla semplice realtà psichica del desiderio e non alla realtà effettiva dell'atto? Ma la realtà psichica alla quale reagisce il nevrotico si distingue dalla realtà effettiva precisamente per il fatto che questa concerne l'inserimento sociale; attribuire come origine alla moralità una reazione al desiderio individuale equivarrebbe a renderla intelligibile in quanto istituzione sociale. Non si può supporre almeno che la società abbia creato condizioni favorevoli al suo continuo progresso? Ma è appunto di questa discontinuità che si tratta di render conto, poiché noi dobbiamo promuovere il capo dell'orda in quanto morto. Un passaggio all'atto dell'uccisione, socializzato, è dunque perciò reale. La relazione tra l'essenza della pulsione e la morte emerge così al cuore stesso del problema della cultura e il movimento di pensiero sviluppato da Totem e tabù. troverà il suo coronamento nel 1920, nella seconda topica. VI. ILLUSIONE NEL TRANSFERT E PROGRESSO CULTURALE Ricordiamo innanzitutto che il problema delle pulsioni di morte si è posto a Freud assai prima dell'elaborazione sistematica che egli ne dà in Jenseits des Lustprinzips (Al di ld del principio del piacere). «Possiamo dire» scriveva egli nell'analisi del presidente Schreber «che il processo proprio della rimozione consiste nel fatto che la libido si stacca da persone, o da cose, in precedenza amate. Questo processo si compie tacitamente, noi non sappiamo che ha luogo ma siamo costretti a inferirlo dai processi che gli succedono. Ciò che attrae a gran voce la nostra attenzione è il processo di guarigione che sopprime la rimozione e che riconduce la libido verso le persone che erano state trascurate.» Non ci si può ingannare: Freud ci dà qui un'anticipazione rispetto alle formule del 1920, o piuttosto nel 1920 riprenderà le formule del 1911 per illustrare in quale modo operino le pulsioni di morte: «Le pulsioni di morte operano in silenzio, tutto il clamore della vita proviene da Eros». Così la rottura di Schreber col mondo, e inversamente il suo ritorno «alle persone e alle cose in precedenza amate» sembrano dipendere a quest'epoca da processi che saranno ulteriormente riferiti alle pulsioni di morte e all'Eros; o piuttosto, e per esprimerci con maggiore prudenza, diciamo che la rimozione definita negativamente in riferimento all'oggetto esterno, ossia come motivo di disinvestimento dall'alterità, e non più semplicemente in rapporto alle rappresentazioni pulsionali, prefigura taluni tratti e funzioni imputati alla pulsione di morte, in opposizione ai processi che presiedono alla «ricostruzione del mondo» e che deriverebbero dalla sfera dell'Eros. Indubbiamente non c'è ancora una discussione aperta fra questi due gruppi di pulsioni bensì tra l'io e le pulsioni sessuali. «Non vorrei concludere questo lavoro • scrive Freud a conclusione del caso Schreber «questo lavoro che, ancora una volta, è solo un frammento di un insieme maggiore, senza ricordare due proposizioni principali di cui la teoria libidica delle nevrosi e delle psicosi tende sempre più a dimostrare l'esattezza: le nevrosi derivano essenzialmente da un conflitto tra l'io e la pulsione sessuale e le forme che esse assumono recano l'impronta dell'evoluzione seguita dalla libido e dall'io.» Si delineano già, nondimeno, gli sviluppi cui sarebbe stata chiamata la pulsione desessualizzata. «Credo» scrive infine Freud «che verrà ben presto il momento di estendere un principio che noi psicoanalisti abbiamo enunciato da molto tempo, e di aggiungere a ciò che esso implica di individuale e di ontogenetico un'amplificazione antropologica, filogenetica.» L'equazione che costituiva il nucleo di Gradiva si ritroverà dunque qui in forma nuova. All'equazione Pompei = infanzia si sostituirà, nel contesto di Schreber, l'equazione totem = padre. Ma il commento a Gradiva non si limitava all'equivalenza fra Pompei e l'infanzia. Quest'equivalenza veniva posta nel registro del transfert. D'altra parte, come abbiamo visto, il totem assumerà la funzione del padre primitivo nella prospettiva filogenetica. Freud, come il lettore avrà osservato, assimila d'altra parte il punto di vista «archeologico' e il punto di vista «filogenetico». Ognuno sa infine che queste corrispondenze trovano il loro motivo nel principio che funge da ragione comune alla legge onto-filogenetica di Haeckel e al transfert, ossia nella coazione a ripetere in cui si traduce la pulsione di morte. Cominciamo a intravedere così la sorte del tema archeologico che formava il nucleo del commento di Gradiva. La stratificazione delle serie psichiche definita dagli Studi sull'isteria non ha solo una portata metodologica. Gradiva le conferisce la sua dimensione al livello del transfert. Ma questa dimensione, in quanto ripetitiva, appartiene alla pulsione di morte; ed è precisamente sul fondamento di una «stratificazione» di livelli di realtà — solidale a una teoria ma: tematica e seriale dell'equilibrio — che Fechner aveva introdotto nel 1873, col principio di costanza, il modello sotto la cui egida si andrà elaborando la seconda topica di Freud. Ma caratterizzando egli stesso la costanza mediante l'«uguaglianza delle tensioni chimiche», Freud non si è certamente limitato a indicarci una nozione bensì ci ha dato un metodo appropriato alla determinazione di un certo tipo di processo, nell'occasione il tipo di processo di cui la pulsione di morte rappresenta il vettore energetico, ossia, nel modo più generale, l'approssimazione all'omogeneo, la disindividualizzazione o, in un senso soggettivo, la disappropriazione. Applichiamo un tale procedimento alla nostra equazione Pompei = infanzia. Pompei, asintoto mai raggiunto degli atti ripetitivi, rappresenterà l'infanzia, ma disappropriata: un passato caduto nell'anonimato, che noi non riusciremo perciò a distinguere in virtù di nessun criterio dal passato della specie. Da questo punto di vista, il sostegno conferito alla concezione freudiana della cultura dalla legge di Haeckel sarebbe dunque restituito al suo vero significato, ossia al suo significato propriamente psicoanalitico, e questo stesso significato verrebbe a essere fondato nella sua dimensione costitutiva, ossia nella prospettiva del transfert. Ma possiamo fare un altro passo, poiché il transfert è ossessione dell'inanimato. Noi sappiamo che il transfert ignora se stesso in quanto tale. In altri termini, la verità del transfert è celata al soggetto, ma l'apparenza sotto la quale essa si nasconde deve rappresentarci il suo modo di esser presente in una forma rovesciata. Ora, Freud ci ha descritto effettivamente questo rovesciamento dell'anonimato dell'Altro nella sua personificazione illusoria in quanto fonte di gratificazione: tale è l'oggetto dello scritto Die Zukunft einer Illusion [Il futuro di un'illusione], di cui è chiaro che non situa le rappresentazioni religiose nel registro della filogenesi se non per averne visto sorgere dall'amore di transfert la matrice illusoria; 27 si pone solo il problema di sapere su quali basi si operi questo mutamento dallo sviluppo del transfert allo sviluppo ancestrale. Il problema era beninteso implicitamente posto nel commento di Gradiva, e una risposta poteva esservi delineata proprio grazie all'elaborazione della nozione di transfert. 2 notevole però anche il fatto che gli elementi di questa risposta non siano stati semplicemente formulati negli scritti tecnici, bensì emergano da un nuovo testo di interpretazione mitologica e di critica letteraria: il commento sul motivo dei tre cofanetti (Das Motiv der Keistchenwahl). Tra le rappresentazioni derivate dall'amore di transfert e la loro traduzione in termini filogenetici, ci mancava un anello di congiunzione. Il motivo dei tre cofanetti ce lo presenta in questo simbolo della morte: il silenzio. Ora, la prefigurazione di questo silenzio ci è data precisamente dal silenzio dell'analista, e Freud non sottolineerebbe sicuramente, come fa, la funzione simbolica, se questa non apportasse un chiarimento decisivo alla sua esperienza. Ma l'esperienza psicoanalitica, che è quella del transfert e del• la sua risoluzione, ci indica anche la dimensione su cui si costituisce questo simbolismo e consente di capirne le incidenze. Essa ci attesta innanzitutto — trattandosi di un fatto d'esperienza — che il soggetto che è posto di fronte al silenzio, ossia che non ottiene risposta alla propria interrogazione, è messo in discussione nella sua identità. Il carattere problematico rifiluisce dal contenuto del discorso all'io. Comprendiamo così che le rappresentazioni date allora al soggetto tendono a cadere nell'anonimato, e inversamente che il soggetto si sforza di sostenersi nella sua identità declinante, ossia che egli dà un sostegno alla propria identità che sta sottraendoglisi nella personificazione illusoria dell'Altro. Lasciamo ora svilupparsi quest'intenzionalità costitutiva dell'amore di transfert, secondo un processo analogo a quello che sanciva l'equazione infanzia = Pompei. Vedremo le illusioni di transfert convertirsi in illusioni culturali e assisteremo, nei termini del Futuro di un'illusione, alla nascita delle mitologie e delle religioni. VII. GENEALOGIA DELLA CULTURA L'esperienza soggettiva del transfert riconosce come proprio modello la generalità di un'esperienza ancestrale dell'umanità, nella misura in cui l'identità del soggetto del transfert è sospesa dal silenzio dell'analista: tale è dunque la formulazione di cui dovremmo ora far apparire le varie dimensioni per ottenere una rappresentazione sistematica della teoria freudiana della cultura. In questa ricerca, un filo conduttore ci è fornito dalla genealogia dei problemi evocati dall'articolo Sull'interesse della psicoanalisi edito nel 1913, ossia in questo periodo di mezzo del freudismo in cui la teoria della psicosi, promuovendo la nozione di destino pulsionale, ci consente a un tempo di mettere in prospettiva gli insegnamenti del sogno e della patologia e, su un altro versante, di anticipare lo sviluppo della nozione psicoanalitica di storicità. Dopo aver ricapitolato nella prima parte i concetti e le acquisizioni fondamentali in relazione all'«interesse psicologico», ossia alla teoria psicoanalitica del soggetto, questo testo enumera in effetti i campi in cui si manifesta «l'interesse della psicoanalisi agli occhi delle scienze non psicologiche'. La sua importanza dipende in primo luogo dall'ordine adottato da Freud nella sua esposizione, essendo chiaro immediatamente che egli mira alla genesi epistemologica delle discipline evocate. Innanzitutto, l'interesse per la linguistica. La nostra insistenza sui modelli della psicoanalisi ci dispenserebbe dal soffermarcisi se Freud non sottolineasse subito un aspetto essenziale e troppo trascurato dell'affinità fra processi del sogno e processi del linguaggio. Poiché però «i mezzi di rappresentazione che il sogno offre constano di immagini visive e non di parole, il confronto del sogno con un sistema di scrittura appare ancor più appropriato che non il confronto con un linguaggio». L'interpretazione dei sogni è dunque assimilabile allo sviluppo di una scrittura antica, come quella dei geroglifici egiziani. In particolare, in entrambi i registri si trova la funzione delle determinanti in rapporto alla sovradeterminazione. Comprendiamo così tutta la portata del suggerimento introdotto nel 1905 mediante l'analisi dell'isteria in Dora, in relazione all'investimento dello scritto in quanto mezzo di comunicazione con l'assente: lo stesso vale per il sogno, in assenza dell'interlocutore. Ma ci rendiamo conto anche di come l'interesse linguistico conduca all'interesse filosofico. L'inconscio di cui il linguaggio del sogno è l'espressione «parla più di un dialetto»: l'isteria, ad esempio, parla il linguaggio dei gesti, la nevrosi ossessiva il linguaggio dei pensieri. In modo analogo possono essere ricostruite le fonti soggettive della Psicologia e l'indicazione confluisce qui con la ricostruzione delle visioni del mondo in Totem e tabù: l'elaborazione secondaria del sogno «ci fornisce un esempio eccellente del modo in cui si forma un sistema, con la sua natura e le sue esigenze. Nei paranoici il sistema domina il quadro patologico, ma non dev'essere trascurato neppure nelle altre forme di psiconevrosi». Ora, un tale sistema non si distingue affatto da una rappresentazione come l'animismo. «L'animismo è un sistema intellettuale. Esso non spiega soltanto singoli fenomeni, ma consente di concepire il mondo come un vasto insieme a partire da un punto dato; più in generale, esso è la prima delle tre grandi concezioni del mondo: animistica (mitologica), religiosa e scientifica.» La psicoanalisi non autorizza dunque solo la critica soggettiva dei sistemi filosofici, nel senso di restituir loro il marchio del destino pulsionale di un singolo creatore; essa fonda, più radicalmente, una tipologia dei sistemi nell'assegnazione dei momenti genetici della costituzione del discorso. In altri termini, spetta ad essa l'assegnazione alla nozione di verità storica del suo pieno significato. In effetti, dal momento in cui la psicosi era chiamata a ricoprire una posizione centrale nella teoria psicoanalitica, e nella misura in cui essa implica il crollo congiunto della posizione dell'altro e della realtà, il destino pulsionale si rivela come storia dell'alterità. La verità storica riflette il fatto che in ciascuna delle svolte di questa storia il soggetto si costituisce come un modo specifico di apertura verso gli altri. Siamo giunti al punto in cui l'interesse della psicoanalisi sbocca, agli occhi della filosofia, nel suo interesse biologico. La filosofia riferisce il discorso a una posizione di verità, ossia a una posizione di alterità; la biologia assicura la determinazione di questo rapporto, che la filosofia non è in grado di mantenere nel registro di un'intersoggettività astratta, in quanto veicolo della funzione sessuale. Da questo punto di vista il concetto di Trieb (pulsione), in particolare, può essere introdotto come concetto limite tra il registro psicologico e il registro biologico. Della mascolinità e della femminilità, in particolare, diremo che non si riferiscono alle pulsioni stesse bensì alle loro mete. Rimane ora da spiegare la posizione singolare dell'organismo all'uno o all'altro dei poli del rapporto biologico, e questo problema esige l'emergere di una nuova dimensione epistemologica. La psicoanalisi si distingue infatti da altri tipi di analisi per il fatto che, ricorda Freud, le compete non soltanto di analizzare il complesso scomponendolo in elementi semplici, ma anche di rimandare da una formazione psicologica a un'altra che l'ha preceduta e a partire dalla quale si è sviluppata. Si definisce così il suo interesse in relazione alla storia dello sviluppo. Per riprendere i modi di rappresentazione che si sono dimostrati fondamentalmente legittimi, lo psichismo è stratificato, in questo senso originario che il passato non vi è separato dal presente ma gli rimane virtualmente implicito. Ma noi possiamo ricostruire, in ciascuno di questi strati, la traccia di una privazione. L'interesse della psicoanalisi per la storia dello sviluppo determina perciò il suo interesse per la storia della cultura. Ci troviamo qui di fronte a una tra le esposizioni più condensate ma anche più sistematiche che ci siano state lasciate da Freud a proposito di quest'ambito di ricerche. Sul piano metodologico il principio che vi domina è quello di un transfert» dei «punti di vista, ipotesi e scoperte della psicoanalisi». Una prima applicazione del principio viene riferita a quei prodotti dell'immaginazione dei popoli che sono il mito e il racconto popolare. Se noi attribuiamo loro un «senso segreto», la psicoanalisi ci insegna a individuare le alterazioni (Anderungen) e le «trasformazioni» (Umwandlungen) che li ricoprono, a un duplice livello. Da un lato il lavoro che essa ha eseguito sul sogno e sulla nevrosi ci fornisce un insegnamento circa la ridistribuzione dei momenti che compongono questi insiemi. Dall'altro essa ci consente di ricostruire i motivi che hanno imposto il mascheramento del loro stato primitivo. Ma è questo solo un primo settore di «transfert». La psicoanalisi è in grado inoltre di gettar luce sulle «origini delle nostre grandi istituzioni culturali: religione, etica, diritto, filosofia». Essa ne è capace nella misura in cui ricostruisce partendo dalle tracce che ne conservano (nachspurt) le situazioni psichiche primitive che hanno dato impulso a tali creazioni. Per raggiungere l'intelligenza, ossia la comprensione degli elementi epistemologici della teoria freudiana della cultura, basta solo mettere a confronto, nell'ordine stesso che ci viene proposto dalla genealogia delle scienze e dal progressivo emergere delle loro dimensioni caratteristiche, l'interesse della psicoanalisi nei confronti della linguistica, della filosofia, della biologia, il suo interesse nei confronti della storia della cultura. Ora, se il vocabolario di Freud, all'epoca che stiamo considerando, è destinato ancora ad evolversi, perfettamente chiaro è il suo pensiero per quanto concerne l'originalità di quest'ultimo campo e della dimensione sulla quale sono stati ordinati i processi: la sfera della cultura è quella della castrazione. Freud ricorda in effetti in principio la distinzione fra bisogno e desiderio, ossia, come aveva indicato il settimo capitolo di Die Traumdeutung (L'interpretazione dei sogni), quella tensione derivata dal bisogno che è l'appello all'altro in vista del soddisfacimento. Egli si fonda in séguito su questa distinzione per contrapporre quelle esigenze alla soddisfazione delle quali può concorrere o essere costretto il mondo esterno ai desideri non soddisfatti, per i quali dovrà essere trovato un «legame». Ma non giungiamo ancora, qui, alla definizione della cultura: essa dipende in proprio dalla sfera della credenza, il cui primo momento ricostruisce nella vita dei popoli la credenza infantile nell'onnipotenza e di cui i momenti successivi, che sono precisamente le fasi dello sviluppo della cultura, riflettono le trasmutazioni della credenza sotto le specie delle concezioni del mondo animistica, religiosa, scientifica. Precisiamo così la dimensione nella quale queste trasmutazioni si sviluppano, comprendiamo così la loro connessione alle posizioni della c Verità storica» di cui Freud specifica in questo stesso momento la nozione. La credenza infantile primitiva nell'onnipotenza equivale alla coincidenza narcisistica fra il soggetto e l'Altro tutelare, le rappresentazioni successive del mondo raffigurano i mutamenti dell'Altro in cui l'esigenza di credere si perpetua mentre si afferma la sua indipendenza dalle rivendicazioni del soggetto; ai momenti progressivamente sviluppati della credenza corrisponderanno le posizioni successive della «Verità storica». Miti, religione, diritto sono dunque i surrogati della sicurezza che l'infans traeva immediatamente dalla credenza infantile nella sua onnipotenza. Essi stabiliscono il legame del desiderio, nel senso che il ritorno della presenza tutelare lascia trasparire il suo fondamento nella natura stessa delle potenze che influenzano e regolano il corso delle cose. All'esperienza di soddisfacimento si sostituisce l'assicurazione dei titoli che legittimano l'accesso ad esso; alla credenza nell'onnipotenza vera e propria, che si esercita a beneficio di quest'essere singolo unico che sono io, si sostituisce la fede in un ordine che si esercita a beneficio di ogni essere singolo, che ne verrebbe confermato e riconosciuto come tale. Il desiderio individuale non è escluso bensì universalizzato. Ora, la situazione così padroneggiata è la situazione di abbandono (Hilflosigkeit), la quale è l'opposto della fede nell'onnipotenza; si sa inoltre che uno degli apporti di Inibizione, sintomo e angoscia, del 1926, sarà quello di caratterizzare questa situazione mediante la sperimentazione o la ripetizione dell'angoscia, di cui si può dire in definitiva che è sempre angoscia di castrazione, nell'accezione generalizzata in cui il termine può essere preso a tutti i livelli della separazione: l'organo genitale, in particolare, secondo un'osservazione presa a prestito da Ferenczi, darà luogo all'angoscia di castrazione nella misura in cui appporta la garanzia (Gew?ihrung) di una possibile riunione al corpo materno. Quella forma di credenza che è il legame culturale costituisce dunque il valore al punto in cui cessa di esercitarsi la garanzia contro la ca‑ della realizzazione effettiva di un ordine culturale; raggiungeremo così il livello sociologico e la dimensione che lo sostiene: quella dell'integrazione. Per un paradosso apparente, Freud tratta dapprima della asocialità per sottolineare l'interesse della psicoanalisi in relazione alla sociologia, ma l'asocialità, da questo punto di vista, ha precisamente lo scopo di rendere esplicito il tipo di ordinamento caratteristico del processo sociale e il livello epistemologico in cui questo dovrebbe situarsi per essere così stabilito. La storia della cultura è quella delle «grandi istituzioni culturali» dalle quali il soggetto, decaduto dalla sua onnipotenza, ottiene lo status di un'identità sostitutiva del suo narcisismo. A questo soggetto la produzione artistica accorda l'attualizzazione dei suoi fantasmi, nel senso che l'opera sostiene la comunicazione della struttura che li ha precisamente costituiti come fantasmi. Ma né l'una né l'altra di queste dimensioni interessano ancora la sua realizzazione hic et nunc in rapporti di scambio effettivi. «Determinare», scriverà Freud nel 1932, «in che modo la costituzione pulsionale in generale, le variazioni razziali e i loro rimaneggiamenti culturali si limitino e si richiamino reciprocamente nelle condizioni fissate dall'organizzazione sociale, dall'attività professionale e dalle possibilità di guadagno» e procedere a questa determinazione «nella singolarità di ogni caso individuale» (im einzelnen), tale sarà il compito di una vera sociologia; ciò equivale indubbiamente a dire che «la sociologia è una psicologia applicata» nella misura in cui studia «il comportamento dell'uomo nella società» ma specifica anche l'accezione originale nella quale è intesa l'«applicazione» e la dimensione epistemologica che essa sancisce, delimitando il luogo di attualizzazione effettiva dell'individuo. Allora, ma solo allora, potrà esser posto il problema della sublimazione, cui incombe la promozione nell'ordine sociale delle energie represse in ragione delle esigenze stesse dell'acculturazione sociale. Se torniamo all'approccio tentato inizialmente da Freud al problema dell'incesto, ciò equivale a dire che la «libertà sessuale perversa» alla quale gli uomini hanno rinunciato «a vantaggio di una comunità più ampia» troverà in quest'ultima un campo di attualizzazione mediante la conversione delle mete primitive: e qui emerge l'interesse per la pedagogia. Ma questo è solo un episodio nello sviluppo del pensiero freudiano. L'integrazione con le concezioni sociologiche dell'Interesse della psicoanalisi dell'ipotesi-guida di Totem e tabù getterà in effetti le basi di una teoria della storia: questa teoria è il Disagio nella civiltà. Una tappa intermedia è segnata dall'elaborazione (congiunta) del concetto di pulsione di morte e della seconda topica. Quest'elaborazione mira in effetti innanzitutto alla teoria della cultura, al luogo stesso — nell'accezione topica — in cui il Super-io assicura indefinitamente la perpetuazione di una colpevolezza non meno necessaria al lavoro della cultura, mediante la costrizione che essa impone alle pulsioni, di quanto non sia stato per il suo emergere l'atto di morte da cui essa procede. Ma il Disagio nella civiltà ci dà assai di più: il tracciato di un destino culturale delle pulsioni di morte, si potrebbe dire mediante una trasposizione del titolo dell'articolo del 1915 Triebe und Triebschicksale (Pulsioni e loro destino). VIII. AGGRESSIONE, SENSO DI COLPA, STORIA L'articolo Sull'interesse della psicoanalisi ha messo in evidenza la funzione della pulsione insoddisfatta nello sviluppo umano. Ma di quale pulsione? Dall'analisi di Schreber sapevamo già che le pulsioni di morte lavorano in silenzio e la ricostruzione dell'atto fondatore della cultura ce lo conferma: per uccidere, i membri dell'orda si sono uniti, fin da questo momento interviene dunque collateralmente nell'esercizio della distruzione una componente di ordine diverso. L'intera metodologia del Disagio si fonderà in effetti sul principio che, per manifestarsi, ovvero anche per dare un appiglio all'analisi, la pulsione di morte deve beneficiare del concorso di Eros. L'aggressività rappresenta precisamente, nella sua forma più elementare, questo groviglio delle pulsioni di morte e di Eros. Ma se è vero che lo sviluppo culturale ha per condizione il mancato soddisfacimento delle pulsioni, quale di queste due componenti chiameremo in causa? Il disagio nella civiltà avrà il compito di dimostrare che le condizioni d'instaurazione della cultura prescrivono di sostituire a questa formulazione dinamica la questione economica delle vicende storiche dell'aggressività. Per misurare i progressi realizzati in questo campo nel corso di quarant'anni di ricerche, ricordiamo semplicemente che il problema qui posto è quello stesso evocato nel 1897 dalla nozione dei fondamenti affettivi (affektive Grundiage), destinati allora a sostenere i «processi intellettuali» della cultura morale. L'intera difficoltà consisteva allora nel fissare un termine intermedio fra l'individualità dei fondamenti affettivi e la socialità dei «processi intellettuali» della morale. Ora, questo termine medio è stato identificato da Totem e tabù: si tratta dell'uccisione collettiva del capo dell'orda. Ogni processo che derivasse da quest'atto sarebbe dunque esso stesso originariamente e interamente un processo collettivo, e innanzitutto il rinforzo del senso di colpa per il quale ci si può attendere, scriverà Freud nel Disagio nella civiltà, che in virtù delle stesse esigenze della cultura, raggiunga «un livello così elevato che l'individuo lo troverà difficile da sopportare». t questo un processo irreversibile mediante il quale si definisce, agli occhi di Freud, una tra le caratteristiche essenziali della storia umana e per l'intelligenza del quale un ultimo anello intermedio è posto nel 1927 con Inibizione, sintomo e angoscia. Tra l'angoscia e il senso di colpa, sottolineava allora Freud, esiste solo una differenza topica. Il senso di colpa è l'angoscia di fronte al Super-io, ossia di fronte all'istanza in cui si interiorizza la potenza da cui dipende il bambino in stato di abbandono: la madre, indubbiamente, in prima analisi, ma in definitiva il padre, all'autorità del quale è legata l'eventualità della sua ricomparsa. Ma la nuova teoria delle pulsioni consente di fare un altro passo avanti. Il medesimo testo, in effetti, sposta dal registro oggettuale al conflitto originario delle pulsioni di vita e di morte il nucleo generatore dell'angoscia. Tale sarà anche il principio di costruzione della colpevolezza storica nel Disagio, da cui è derivato, promessa ultima dell'impresa teorica di Freud, il suggerimento conciso ma determinante di un'articolazione possibile della psi‑ coanalisi alla sociologia, e particolarmente al campo socio-economico del pensiero marxista. Riprendiamo dunque, alla luce dell'ipotesi teorica del dualismo pulsionale e dell'uccisione originaria, il problema della colpevolezza. Il sentimento mediante il quale viene sancita l'uccisione del capo dell'orda appartiene all'ambito del «rimorso», ma ad esso deve necessariamente preesistere una disposizione, che è celata generalmente dal concetto di colpevolezza. Una deduzione ne sarà resa possibile dalla teoria delle pulsioni. La colpevolezza esprime in origine il conflitto stesso delle pulsioni di morte e di vita, ossia, riferendole alla loro meta e al loro oggetto virtuali, il conflitto di amore e odio. Traiamo allora dalla nostra ipotesi iniziale una serie di derivazioni ausiliarie: l'uccisione del capo ha soddisfatto la componente aggressiva del complesso di pulsione; l'amore così liberato «ricompare nel rimorso associato al crimine, genera il Super-io mediante l'identificazione col padre, gli delega il diritto e il potere che questi deteneva di punir in qualche modo l'atto di aggressione compiuto sulla sua persona, e infine erige le restrizioni destinate a impedirne il ritorno». Nondimeno, prosegue Freud, dobbiamo ricordare qui «una concezione interamente propria alla psicoanalisi e totalmente estranea al pensiero umano tradizionale». In origine, la coscienza morale (Gewissen) appare come la causa della rinuncia alla pulsione, ma più avanti la relazione si rovescia. Ogni rinuncia alla pulsione diviene allora una fonte di energia per la coscienza, e successivamente ogni nuova rinuncia intensifica a sua volta la severità e l'intolleranza di questa. A questo processo a spirale si riconnette dunque la previsione storica di un accrescimento inesorabile del senso di colpa collettivo «fino al punto che esso potrebbe diventare intollerabile per l'umanità». Non è questo il luogo di ricercare in che cosa la sintomatologia sociale delle crisi storiche nei tempi moderni sia in grado di confermare quest'anticipazione. Per apprezzare l'eventuale interesse di una tale ricerca agli occhi della teoria psicoanalitica, sottolineiamo semplicemente la varietà che possono presentare le manifestazioni di questa «pressione intollerabile del senso di colpa». Si tratti di trasformazioni dell'etica, di mutamenti nei rapporti d'autorità, dell'evoluzione delle forme artistiche, non dovremo occuparci evidentemente dell'espressione diretta del senso di colpa in qualsiasi conflitto o figura storica, bensì di spostamenti sintomatici, di cui spetterebbe precisamente a un'investigazione di spirito analitico di individuare le fasi o ricostruire nel senso di colpa originario la fonte dimenticata. Ma la prevalenza riconosciuta nella teoria agli aspetti energetici delle pulsioni comporta conseguenze metodologiche più dirette. La considerazione delle strutture, ossia l'organizzazione sociale delle situazioni nelle quali questa energia s'inserisce, le sarà in effetti subordinata. In particolare, la struttura edipica si vedrà conferire uno status di relatività, limitandosi a sancire l'impronta del conflitto di pulsione originario nella struttura familiare. «Il sentimento di colpevolezza, abbiamo detto, è l'espressione della lotta eterna fra Eros e la pulsione di morte. Questo conflitto ebbe inizio nel momento stesso in cui si impose agli uomini il compito di vivere in comune. Finché questa comunità conosce solo la forma familiare, esso si manifesta necessariamente nel complesso di Edipo, istituisce la coscienza e genera il primo sentimento di colpevolezza. Quando questa comunità tende ad ampliarsi, lo stesso conflitto persiste, rivestendo forme dipendenti dal passato, si intensifica e comporta un'accentuazione del sentimento primario.» Si trova così fissato, nella sua formulazione propriamente psicoanalitica, il problema posto da Freud fin dal 1897 a proposito delle origini della repressione dell'incesto, in relazione al passaggio dalla società familiare alla società allargata. Ma anche la nozione di organizzazione sociale richiede di essere a sua volta elaborata. Si tratta di sapere, innanzitutto, quale parte spetti, nell'articolazione del punto di vista propriamente psicoanalitica, ossia della teoria delle pulsioni, all'analisi delle strutture, non soltanto sociali bensì socio-economiche; questa preoccupazione condurrà Freud nel 1932 in Neue Folge der Vorlesungen zur Einfiihrung in die Psychoanalyse (Nuova serie di lezioni d'introduzione alla psicoanalisi), a porsi domande sulla situazione della psicoanalisi in relazione alla ricerca marxista. Il suo apporto in questo campo si è limitato senza dubbio a suggerimenti di carattere metodologico. Questi conservano nondimeno nei confronti di vari tentativi contemporanei un'originalità così sorprendente, e una solidarietà così stretta con lo sviluppo storico che abbiamo esposto, da giustificarne almeno una presentazione per sommi capi. IX. ECONOMIA DELLE PULSIONI E PROCESSI SOCIO-ECONOMICI In principio dovrebbe essere precisata la relazione esistente fra il principio di economia di Mach e le analogie, sviluppate particolarmente dall'Interpretazione dei sogni e dal Motto di spirito (Der Witz und seine Beziehung zum Unbewussten), tra i modelli dell'economia politica e l'economia del lavoro inconscio. Un esempio famoso ci è offerto dal commento del sogno di Otto, nel settimo capitolo dell'Interprezione dei sogni. Il desiderio diurno, che Freud riconosce in sé, di essere nominato professore titolare, avrebbe potuto lasciarlo tranquillo se, egli ci dice, non fosse rimasta sveglia la preoccupazione (Sorge) per la salute dell'amico. Ma «questa preoccupazione di per sé non avrebbe prodotto alcun sogno. La forza motrice che il sogno esigeva doveva ricevere il contributo di un desiderio ed era la preoccupazione a doversi creare un tale desiderio come forza motrice del sogno» (Diese Sorge heitte noch keinen Traum gemacht, die Triebkraft, die der Traum bedurfte, musste von einem Wunsche beigesteuert werden, es war Sache der Besorgnis, sich einen solchen Wunsch als Triebkraft des Traumes zu verschaffen). Tale sarà la base del modello «economico»: il resto diurno, in questo caso la preoccupazione, assolve la funzione dell'imprenditore che ha l'idea (Idee) e l'impulso (Drang) a convertirla in atto, ma che non può far nulla se non dispone dei capitali occorrenti: esso ha bisogno di un capitalista che possa far fronte alle spese (Aufwand) e questo capitalista è sempre un desiderio che viene dall'inconscio. Possono allora essere considerate diverse variazioni, a seconda del contributo rispettivo di uno o più capitalista e imprenditori. Esse hanno in comune ciò che costituisce precisamente il termine di confronto fra i due tipi di «economie» : la considerazione della quantità liberamente disponibile, in una misura assegnabile. E quest'elemento, che costituisce dunque il cuore del confronto, trova, prosegue Freud, un'illustrazione particolarmente interessante nella struttura del sogno (Traumstruktur). Un secondo esempio ci sarebbe offerto dalla parte sintetica del motto di spirito, nel capitolo intitolato I motivi dello spirito, e lo spirito in quanto processo sociale. L'interesse del passo consiste nel mettere in evidenza l'originalità dei problemi dell'economia freudiana; esso ci consentirà anche di precisare, mettendo a confronto le varie testimonianze, il livello a cui quest'originalità si manifesta. Cominciamo col riassumere. Tema generale: confronto dell'economia psichica con la «gestione di una società commerciale» (Gesehtiftsbetrieb). Considerazione, in questa prospettiva, del volume di affari (Umsatz). In un'impresa modesta, il risparmio dipende dal valore assoluto delle spese. Le spese dell'amministrazione (Regie) saranno ridotte al minimo. Se il volume degli affari (Umsatz) e le entrate aumentano, l'incidenza relativa delle spese diminuisce. Pare dunque che si debba ridurre il risparmio in relazione a tali voci. Una saggia amministrazione tenderà nondimeno a ridurle ancora al minimo. Analogamente, in quanto concerne il risparmio psichico: Esiste un piacere del risparmio localizzato (esempio del commutatore elettrico). Nondimeno, una volta realizzato questo risparmio, non è possibile un sollievo durevole se non nella misura in cui l'energia non consumata non viene profusa altrove. Questo legame ha luogo in relazione al terzo. Indicazione evidentemente essenziale: essa attesta in effetti ciò che costituisce l'originalità dell'elemento economico freudiano, ossia la distribuzione dell'energia fra i tre beneficiari della struttura edipica. Il lettore avrà inoltre osservato la differenza dei punti di vista sotto i quali si collocano rispettivamente i due modelli del sogno e del motto di spirito. Nel linguaggio dell'economia politica, il primo concerne le condizioni della produzione, il secondo concerne la gestione familiare, nel suo rapporto col volume delle operazioni commerciali. In altri termini, l'uno concerne l'aspetto energetico del lavoro» psichico, l'altro la distribuzione dell'energia in una rete di scambi. Lo sviluppo del pensiero freudiano e soprattutto, con l'avvento della seconda topica, la concezione che Freud si forma dell'inve‑ stimento dell'energia di pulsione a vari livelli di struttura — struttura familiare, società allargata — conferiranno nondimeno a questi primi suggerimenti un rilievo nuovo. Il saggio sul motto di spirito ci propone in effetti in un caso particolare una teoria della sublimazione: sublimazione, nella circostanza, della situazione radicata nella scena primitiva, con le componenti del voyeurisme e dell'aggressività, i cui prolungamenti si trovano nell'Uomo dei topi. Più precisamente, il «terzo» del Motto di spirito viene a prendere il posto del terzo della struttura edipica, al livello della quale si è trovata ad essere portata l'esperienza, o il fantasma, della scena primitiva; egli occupa però questo posto non più alla stregua di rivale ma di destinatario di un messaggio puramente significante; in altri termini, in questo posto si compie, secondo l'impostazione dei Due principi del processo psichico, quella socializzazione della castrazione collettiva che promuove il fantasma al rango di opera d'arte. Tale è il senso del sollievo» globale che Freud evoca al termine della sua analisi delle condizioni economiche del motto di spirito e che rappresenta il modo di collegamento dell'energia liberata dall'eliminazione delle inibizioni. Ora, sul fondamento del Disagio, ovvero sul tema della strutturazione dell'energia, questo primo suggerimento del Motto di spirito pare generalizzabile. Sappiamo già che nel Disagio Freud distingue assai nettamente tra il punto di vista energetico, sotto il quale si definisce il conflitto tra le pulsioni di vita e di morte, e il punto di vista strutturale, sotto il quale è abbozzata la stratificazione delle organizzazioni nelle quali l'energia si distribuisce. Possiamo dunque assegnare facilmente una collocazione alla rappresentazione economica del Motto di spirito. Essa si situa in quello di strutturazione in cui si compie la socializzazione della dinamica edipica, che è essa stessa la rappresentazione, nell'organizzazione familiare, dell'energia delle pulsioni. Ma ci viene suggerita anche un'ipotesi euristica. Se è vero che il processo di sublimazione esprime un mutamento del riferimento al terzo, possiamo chiederci se l'avvento di mutamenti analoghi, ad altri livelli di strutturazione, non possa presiedere alla costituzione del campo • sociologico, in condizioni accessibili a un'analisi sistematica. 2 lo stesso Freud a invitarci a questa ricerca. Veniamo in effetti ai suggerimenti di estensione limitata, ma non per questo meno preziosi, apportatici dall'ultimo capitolo Nuova serie di lezioni d'introduzione alla psicoanalisi (1932) a proposito della valutazione freudiana del pensiero marxista. Vi leggiamo in sostanza che le strutture socio-economiche determinano le «condizioni» nelle quali si distribuiscono, si oppongono o si fanno equilibrio le forze nelle quali si attualizza l'energia delle pulsioni. Di qui la domanda: in quale posizione, a questo livello, il terzo è chiamato a collocarsi? È chiaro, innanzitutto, che non potremmo progredire su questa via se non a condizione di assicurarci un preciso sistema di riferimento dello status epistemologico della questione posta, in altri termini del suo livello nella stratificazione epistemologica abbozzata fin dal 1913 nell'articolo Sull'interesse della psicoanalisi. Dal punto di vista della sociologia, quest'ultimo testo si collocava ancora assai al di qua del Disagio e della Nuova serie di lezioni. Se esso toccava il tema del senso di colpa e quello delle esigenze della società e della cultura, non faceva però alcuna anticipazione sulla parte che sarebbe toccata più tardi all'aggressività. Il problema del lavoro non vi è inoltre considerato al livello sociologico bensì a un livello epistemologico antecedente, secondo la stratificazione delle discipline non psicologiche, al livello della storia della cultura, in cui si trovano definite «le grandi istituzioni culturali della religione, dell'etica, del diritto e della filosofia»: una volta posto il principio dell'analogia delle fonti dinamiche nelle realizzazioni individuali e sociali, Freud distingueva in effetti due parti nella classificazione dei meccanismi che, in virtù della loro funzione comune, assicurano la liberazione delle tensioni derivate dai bisogni. «Una parte di questo compito sarà assolta dal soddisfacimento che si ottiene con la forza dal mondo esterno. A tal fine si richiede la padronanza del mondo reale.» Un'altra parte delle esigenze umane rimane però insoddisfatta. La storia della cultura consente di riconoscere mediante quali vie si operi il collegamento di questi desideri inappagati, «a seconda delle condizioni mutevoli, e modificabili grazie al progresso tecnico, le quali sono quelle del diniego o di una risposta favorevole da parte della realtà A. In breve, si assisteva all'abbandono di tutta la potenza dei pensieri e della rappresentazione animistica a beneficio di una Weltanschauung religiosa, e poi scientifica. In questo contesto, dice Freud, a mito, religione ed etica si inseriscono come tentativi per assicurare compensazioni in mancanza dell'appagamento dei desideri». L'insieme di questo sviluppo si compie così «parallelamente al progressivo dominio del mondo» e per rimediarne le lacune. Qual è dunque l'apporto della seconda topica? La questione non presenta un interesse strettamente storico. Essa mira a ricostruire, se è possibile, la dimensione sulla quale la nozione di lavoro del 1912, definita dapprima al livello della cultura, si è convertita in una nozione del campo sociologico negli scritti dell'ultimo periodo, e particolarmente nella prospettiva dell'accostamento, cercato da Freud, tra gli apporti della psicoanalisi e quelli del marxismo. Nel 1912 era semplicemente accennato il collegamento dei desideri lasciati inappagati, nelle condizioni impartite dal progresso tecnico all'inserimento naturale dell'uomo; nel 1932 lo stesso problema veniva formulato ma a un diverso livello, quello della sociologia, concepita come «psicologia applicata», ossia come la rappresentazione delle configurazioni dinamiche proprie delle situazioni storiche particolari. La genesi concettuale di questo mutamento di prospettiva sarà da questo momento facilmente discernibile: la stratificazione epistemologica del 1912 stabilisce un'anteriorità della scienza dello sviluppo su quella della cultura, e di questa sulla sociologia. Prendiamo ora in considerazione la specificazione delle cate- gorie energetiche e l'assegnazione dei livelli di struttura. La scienza dello sviluppo si costituirà al livello della struttura familiare, la sociologia al livello della «società allargata», e la scienza della cultura interesserà l'articolazione dall'una all'altra. Formuliamo dunque, in questo nuovo linguaggio, il problema del mutamento di posizione del «terzo», problema che equivale in sintesi a prolungare i suggerimenti delle Pulsioni e loro destino (1913), In modo da seguire questa linea di destino delle pulsioni al livello strutturale della «società allargata». Diciamo che si tratta per noi di precisare secondo quale modo di strutturazione storicamente determinata — in ogni singola situazione, ci dice Freud, e tenendo conto dell'influenza essenziale delle condizioni tecniche e socioeconomiche — si costituisca il tipo di lavoro e di produzione di una data società. «Chi tentasse di fare del marxismo una vera dottrina sociale», scrive Freud nel 1932 nella Nuova serie di lezioni, «dovrebbe essere in grado di far vedere nei particolari la funzione di ciascuno di questi vari fattori». X. COMPONENTI PRINCIPALI DI UNA TEORIA DELLA CULTURA Abbiamo dunque compiuto un percorso sufficiente per stabilire, al termine di questo sviluppo, il bilancio sistematico di una «teoria» freudiana della «cultura»? Ogni discussione in proposito esige evidentemente che venga tolta l'imprecisione in cui abbiamo lasciato finora la traduzione dei vocaboli tedeschi Kultur e Zivilisation, e il contenuto stesso delle nozioni corrispondenti. Ma la soluzione, agli occhi di Freud, non comporta alcuna difficoltà: «La cultura umana (Die menschliche Kultur)» scrive egli nel 1927 nel Futuro di un'illusione «e con questo termine intendo tutto ciò in virtù di cui la vita umana è innalzata al di sopra delle sue condizioni animali e mediante cui si distingue dalla vita delle bestie, e mi rifiuto di separare civiltà e cultura (und ich verschmeihe es, Kultur und Zivilisation zu trennen), offre all'osservatore, come è noto, due aspetti. Essa comprende, da un lato, tutto il sapere e il potere (all das Wissen und Ktinnen) che gli uomini hanno acquisito al fine di padroneggiare le forze della natura e di acquistare i propri beni per il soddisfacimento dei bisogni umani (um die Krtifte der Natur zu beherrschen und ihre Giiter zur Befriedigung der menschlichen Bedúrfnisse abzugewinnen); dall'altro tutte le istituzioni (Einrichtungen) che sono necessarie per regolamentare le relazioni degli uomini fra loro e in particolare la ripartizione dei beni che possono assicurarsi». Certo, Freud non ci dice che le nozioni di «Kultur» e di «Zivilisation» siano equivalenti, ma solo che si rifiuta di separarle, e ci suggerisce la ragione di questa inscindibilità. In essa viene in luce la costituzione stessa delle istituzioni sociali in quanto sorte da un superamento delle condizioni di vita animali: la civiltà perpetua nella sua interiorità il movimento da cui si è generata; essa è destinata a pagarne senza tregua il prezzo e, come già Freud annunciava a Fliess, citando Shakespeare, per l'individuo, ciò vale, a maggior ragione, per la specie umana, la quale non cessa di essere «debitrice di una morte» alla natura. Questo concetto è espresso mirabilmente, nel 1917, in L'uomo dei lupi, a una data in cui ha luogo precisamente la grande svolta, inaugurata dall'analisi di Schreber, dalla libido alle pulsioni di morte. Se si considera il comportamento del bambino di quattro anni di fronte alla scena primitiva riattivata • scriveva Freud «non si può mettere da parte se non a fatica l'idea che una sorta di sapere difficilmente definibile, come una prescienza, agisca in questi casi nel bambino. Noi non possiamo assolutamente immaginarci in che cosa possa consistere un tale "sapere", e a tal fine disponiamo solo di un'analogia, peraltro eccellente: il sapere istintivo (instinktiv) —così esteso — degli animali. Questo patrimonio istintivo costituirebbe il cuore dell'inconscio, una sorta di attività mentale primitiva, destinata a essere più tardi soppiantata e mascherata dalla ragione umana, quando la ragione sarà stata appunto acquisita. Ci troviamo così collocati al livello che ci ha designato, nella definizione della cultura, il riferimento alla natura. Ma il fatto essenziale è che questo legame primitivo, per quanto superato, non è però annullato. «Spesso» prosegue Freud c e forse in noi tutti, questo patrimonio istintivo conserva il potere di attrarre a sé processi psichici più elevati. La rimozione sarebbe il ritorno a questo stadio istintivo, e così l'uomo pagherebbe (bezahlen; il corsivo è nostro), con la sua attitudine alla nevrosi, la sua grande nuova acquisizione; egli testimonierebbe inoltre, con la possibilità delle nevrosi, l'esistenza di stadi anteriori istintivi.» Quest'ipotesi ci dà inoltre la possibilità di ricostruire persino i particolari dei processi psichici. In effetti «la funzione importante dei traumi della prima infanzia sarebbe quella di fornire all'inconscio un materiale che lo preservi dall'usura nel corso della successiva evoluzione. E forse, infine, la conclusione di Freud, col suo ultimo riferimento, giustifica il fatto di aver affrontato l'argomento: «Lo so: da diverse parti si è parlato di idee simili, sottolineando il fattore ereditario, acquisito filogeneticamente, della vita psichica. Io penso addirittura che si sia stati anche troppo inclini a far loro posto e ad attribuir loro importanza in psicoanalisi. Io le considero ammissibili solo quando la psicoanalisi rispetta l'ordine delle istanze, e, dopo aver attraversato gli strati (Schichtung; corsivo nostro) successivi di ciò che è stato acquisito individualmente, si imbatte infine nelle vestigia di ciò che l'uomo ha avuto in eredità». Questa tensione dell'«attività psichica primitiva' nei confronti della razionalità da cui è derivata la nostra attitudine alla nevrosi è dunque quella cui mirava Freud quando evocava, all'inizio della definizione della cultura, la «promozione della vita umana al di sopra delle sue condizioni animali»; e l'ipotesi direttrice della teoria consiste allora nel comprendere la cultura come una socializzazione di questo movimento stesso di genesi, in altri termini come la socializzazione delle carenze, dei rischi e dei conflitti che caratterizzano questo distacco dalla sfera della natura. Abbiamo già sottolineato, come tipica dell'ultima tappa del pensiero freudiano, la distinzione tra il registro energetico delle pulsioni, che forma il soggetto specifico dell'investigazione psicoanalitica, e le configurazioni storicamente determinate, famiglia, società allargata, in cui queste pulsioni sedimentano rispettivamente la traccia del conflitto edipico e del senso di colpa. t questo il primo esempio dell'emergere al livello della cultura delle condizioni della propria genesi. Ma nella definizione stessa della pulsione come «rappresentante» del bisogno, nel mancato soddisfacimento cui la pulsione è destinata a causa .del suo stesso distacco dall'ordine chiuso della natura, e nella plasti‑ cità in cui essa trova la sanzione del suo mancato compimento, rico‑ nosciamo il pegno e la posta stessa dello sviluppo culturale, nelle grandi organizzazioni sociali della religione, del diritto e dell'arte», i garanti della conversione di questa carenza interna nelle forme sublimate dell'ordine sociale. Ma la costruzione dei rapporti sociali è solo, come si è detto, uno degli aspetti della cultura; l'altro riguarda il rapporto dell'uomo alla natura nella conoscenza, nell'attività tecnica e nel lavoro. E questi due aspetti sono strettamente solidali «in primo luogo» scrive Freud in Il futuro di un'illusione «perché i reciproci rapporti fra gli uomini sono influenzati profondamente dalla misura dei soddisfacimenti di pulsioni permessi dalle ricchezze presenti; in secondo luogo perché l'individuo stesso può entrare in rapporto con un altro uomo in quanto proprietà, nella misura in cui quest'ultimo usa la sua capacità di lavoro o lo prende come oggetto sessuale; in terzo luogo, perché ogni individuo è virtualmente un nemico della civiltà che opera nondimeno nell'interesse dell'umanità in generale». Abbiamo sottolineato che, agli occhi di Freud, non è meno essenziale alla sociologia, e particolarmente alla sociologia marxista, conservare questo stretto rapporto con la teoria delle pulsioni, di quanto non sia per la teoria psicoanalitica della cultura la specificazione delle organizzazioni nelle quali è chiamato a svilupparsi il lavoro delle pulsioni, e particolarmente a manifestarsi l'ambivalenza delle pulsioni stesse. Si tratta, ripetiamolo, di semplici suggerimenti, di cui ci è però possibile precisare a questo punto l'originalità metodologica: essa consiste nel principio di una corrispondenza fra la stratificazione culturale e la stratificazione epistemologica, la cui prima versione, proposta nel 1913 sotto le specie della genealogia delle scienze non psicologiche, dovrebbe essere ricostruita sul fondamento della seconda topica, e sulla scia degli sviluppi che abbiamo appena abbozzato. In breve, un'a applicazione» diretta della psicoanalisi alle scienze sociali è esclusa per la stessa ragione per cui può essere esclusa una «psicoanalisi selvaggia»; prima di affrontare il campo socio-economico non si potrebbe evitare in tal caso la difficoltà di percorrere una serie di discipline intermedie, così come non si potrebbe evitare al paziente, come dice Freud, il lungo e doloroso travaglio della cura e le vicissitudini del transfert. L'analogia è forse più essenziale di quanto non sembri. La teoria freudiana della cultura è derivata infatti dalla teoria del transfert e dalla sua risoluzione, e solo da essa ricava il suo status psicoanalitico. La genealogia delle scienze dell'uomo, pur traendo alimento dall'ispirazione della psicoanalisi, ha la stessa origine, articolando attraverso vari strati di sociabilità il campo di concettualizzazione aperto da Totem e tabù. In definitiva, un'epistemologia comparata riporterebbe dunque in luce l'intero percorso del destino pulsionale, ossia la storia stessa dell'alterità, esaudendo così l'augurio giovanile attestato da Freud in due riprese nel corso dell'anno 1896: «Nella mia giovinezza non ho conosciuto altra aspirazione (Sehnsucht) che quella che mi portava verso la conoscenza filosofica e ora sono sul punto di soddisfarla, passando dalla medicina alla psicologia» — esaudendo questo desiderio «nutrito in origine nella parte più segreta da se stesso, ben oltre l'esaltazione delle prime scoperte, dal giorno in cui l'elaborazione della pulsione di morte condusse la psicoanalisi, dalla g via regia» dei sogni fino alla soglia di una teoria della storia. BIBLIOGRAFIA Opere complete di Freud, a eccezione dei lavori detti pre-psicoanalitici e della corrispondenza: Gesammelte Werke, 18 voll., Imago Publishing, London 1940 sgg. The Standard Edition of the Complete Psychological Works of Sigmund Freud, a cura di J. Strachey, 24 voll., Hogarth Press, London 1953-1966. Traduzioni italiane Di singole opere di Freud esistono numerose traduzioni italiane. Un'edizione italiana completa dell'opera di Freud, sotto la direzione di Cesare L. Musatti, è in corso presso l'editore Boringhieri, a Torino. Fra le opere di Freud già uscite presso Boringhieri ricordiamo: Le origini della psicoanalisi, lettere a Wilhelm Fliess, abbozzi e ap‑ punti (1887-1902), 1961 Studi sull'isteria (1895), in Opere, vol. I, 1967 L'interpretazione dei sogni (1900), in Opere, vol. III, 1967 Psicopatologia della vita quotidiana (1901), 1965 Frammento di un'analisi d'isteria: Dora (1905), in Casi clinici, 1962 Carattere ed erotismo anale (1908), in C. L. Musatti, Freud, Boringhieri, Torino 1959 (con antologia freudiana) Il poeta e la fantasia (1908), ibid. Analisi della fobia di un bambino di cinque anni: il piccolo Hans (1909), in Casi clinici, 1952 Osservazioni su un caso di nevrosi ossessiva: L'uomo dei topi (1909), in Casi clinici, 1952 Osservazioni psicoanalitiche su un caso di paranoia descritto in note autobiografiche: Presidente Schreber (1911), in Casi clinici, 1952 Precisazioni sui due principi dell'accadere psichico (1911), in C. L. Musatti, Freud, 1959 Totem e tabù (1912), 1968 Pulsioni e loro destino (1915), ibid. La rimozione (1915), ibid. Osservazioni sull'amore di traslazione (1915), ibid. Alcuni tipi di carattere tratti dal lavoro psicoanalitico (1916), in Psicoanalisi, 1963 Introduzione alla psicoanalisi (1916-1917), 1969 Dalla storia di una nevrosi infantile: L'uomo dei lupi (1918), in Casi clinici, 1952 «Psicoanalisi, e «Teoria della libido» (1922), in Psicoanalisi, 1963 Nevrosi e psicosi (1924), in C. L. Musatti, Freud, Boringhieri, Torino 1959 Autobiografia (1925), ibid. Inibizione, sintomo, angoscia (1926), 1961 |